I MIEI VIAGGI PER CANTARE LA LIBERTA’

Testo: Roberto Allegri  Foto: Nicola Allegri

Copyright © 2007  editorialegliolmi.it   tonyassante.com

 

Acquista online Marco Deambrogio

Otto anni fa, Marco Deambrogio, ha lasciato il suo lavoro di commerciante orafo, ha comprato una moto e con quella ha iniziato una nuova vita: viaggiare per le strade del globo alla ricerca di sensazioni, conoscenze, impressioni, emozioni.
I suoi viaggi riflettono una precisa scelta di vita e proprio per questa ragione ho voluto incontrarlo: per capire cosa lo spinge a partire in sella alla sua BMW e sfidare pericoli e disagi. Mi aspettavo di trovare tutt’altra persona. Non so perché, ma nella mia mente mi ero fatto l’idea di un omone con barba e capelli lunghi, rude, vestito con pelle nera e borchie. Marco Deambrogio è invece minuto, snello, estremamente gentile. Si stenta un po’ a credere che sia stato protagonista di tante avventure fino a che non lo si guarda bene diritto negli occhi. Allora le cose cambiano. C’è una scintilla nel suo sguardo, un piccolo fuoco di ghiaccio che arde e si agita inquieto. Una luce come quella che hanno gli occhi dei lupi selvatici.
<<Il mio lavoro ora è questo>>, mi  dice.
<<Realizzo spedizioni esplorative in solitaria, in completa autonomia e senza alcun supporto esterno. Vivere in questo modo è il mio inno alla libertà.>>

I viaggi che ha compiuto sono numerosi. Il più impegnativo è stato certamente il giro del mondo. Ma molto importante e significativo anche il viaggio a Kabul, sempre in moto e sempre da solo, compiuto per portare aiuti ad Emergency, la nota associazione umanitaria italiana, fondata dal medico Gino Strada, per offrire assistenza medico-chirurgica gratuita e di elevata qualità alle vittime civili delle guerre. Quel viaggio, 12 mila chilometri, Deambrogio ora lo ha raccontato in un libro, “Destinazione Afghanistan”, edito da Sperling & Kupfer destinando parte del ricavato delle vendite a Emergency per la costruzione di un centro di primo soccorso a Istalef, alle porte di Kabul.


L’incontro con Marco Deambrogio avviene a Valenza Po’, sulle colline del Monferrato, dove Deambrogio vive in una casetta perduta tra il verde. Ci sediamo in giardino, mi fa conoscere il suo maiale Pancho che è l’incarnazione della simpatia. E poi racconta la sua storia.
<<Il giro del mondo è stata la prima grande impresa che ho compiuto in moto, e l’ho fatta nel 2000>>, dice. <<Ho voluto iniziare la mia nuova vita con quell’impegno. Quando si seppe in giro che avevo questo progetto, tutti dicevano che ero pazzo. Ma fin da bambino sognavo di vivere straordinarie avventure ed è stato per inseguire i miei sogni che sono partito per il giro del mondo in moto. Ho attraversato l’America del sud, poi gli Stati Uniti fino all’Alaska. A bordo di un vecchio aereo cargo ho volato fino in Giappone, l’ho attraversato da cima a fondo e quindi ho percorso le pianure dell’Asia, la Mongolia e la Russia, fino a raggiungere la Finlandia. Di lì, attraverso la Danimarca e la Germania sono tornato a casa. Un viaggio durato otto mesi per un totale di cinquantasettemila chilometri. Al rientro a casa ero un uomo completamente nuovo. Da quel momento non ho più smesso di macinare chilometri con la moto. Partendo da Venezia sono arrivato fino a Pechino, sulle orme di Marco Polo; ho attraversato i deserti di Australia, Nuova Zelanda e Tasmania. Poi ho fatto un lungo viaggio in Africa e quindi nei paesi del Caucaso. Ed ho anche compiuto il viaggio da Milano a Kabul che ora ho raccontato dettagliatamente nel mio libro.


<<Però io non considero mai i miei viaggi come delle “imprese”. E tanto meno come a delle sfide con me stesso, perché non ho mai voluto dimostrare nulla. Il mio unico intento è afferrare la libertà. Viaggiare come faccio io è uno degli ultimi sistemi per sentirsi davvero liberi, padroni della propria esistenza. Ho scoperto una cosa bellissima in questi anni: l’improvvisazione, cioè partire avendo una meta ma senza aver pianificato il tragitto per raggiungerla. E’ un’energia che mi tiene vivo, il motore di ogni mia esperienza, che genera emozioni impagabili. Per questo mi sposto come facevano gli antichi viaggiatori, senza navigatore satellitare ma usando le carte, vecchie cartine geografiche. Voglio scoprire, voglio essere sorpreso ad ogni svolta. Sono sensazioni che valgono qualsiasi sacrificio.


<<Quando ero un bambino leggevo i romanzi di Emilio Salgari, di Jack London o di Louis Stevenson e sognavo di partire per l’avventura. A quattordici anni l’ho fatto: sono scappato di casa e con il mio motorino sono andato fino a Brescia. E mi pareva di aver scalato l’Everest. Le mie vacanze poi sono sempre state all’insegna di viaggi un po’ particolari. Ad esempio nel 1999 ho raggiunto il polo Nord geografico con gli sci, diventando il quinto italiano nella storia a realizzare una simile tragitto. E sempre nel ’99 ho attraversato a piedi da solo la foresta pluviale della Nuova Guinea. Ma lo stesso, non mi sentivo felice. Le vacanze finivano e dovevo tornare al mio lavoro. Facevo l’imprenditore, anche con un certo successo, ma mi sentivo soffocare. Mi capitava di ritrovarmi ad una riunione di lavoro e di pensare al mare, alle foreste. Non mi sentivo più a mio agio nel mondo in cui vivevo. Nel 2000, stavo viaggiando nel deserto australiano a bordo di una vecchia jeep. A lato della pista vidi il rottame di una motocicletta, abbandonata lì da qualcuno che aveva tentato la traversata e aveva fallito. Fu una visione che mi colpì nel profondo. Qualcosa scattò dentro di me. Quella sera, avevo già preso la mia decisione. “Farò il giro del mondo con la moto”, mi dissi. “E lo farò da solo!"


<<All’inizio non è stato facile trovare i soldi. Si potrebbe pensare che io sia il classico figlio di papà che cerca emozioni e, con le spalle coperte, intraprende avventure per il mondo. Non è così. La mia famiglia non è ricca, mio padre è un operaio. Io facevo il commerciante orafo, lavoravo in proprio. Quando ho deciso di cambiare vita, ho chiuso l’attività e mi sono messo a cercare uno sponsor per il mio viaggio. Ho bussato così a migliaia di porte, molte me le hanno chiuse in faccia. Poi un settimanale ha accettato di comprarmi l’esclusiva del viaggio. E la stessa cosa ha fatto in seguito un mensile. E’ stato l’inizio. Ora ho trovato un paio di sponsor fissi, vendo i film che realizzo durante i viaggi, scrivo libri: tutto per finanziare la mia scelta di vita che è diventata un lavoro a tutti gli effetti.


<<I miei viaggi li pianifico prima a tavolino, ma solo fino ad un certo punto. L’improvvisazione, come ho detto, è parte del divertimento e non deve mancare. Io non porto mai con me il GPS, o il computer o il telefono. Mi affido alle cartine, all’istinto, al senso dell’orientamento. E alle indicazioni della gente. Trovo sia fondamentale quando si viaggia prendere contatto con le persone, chiedere, raccontare. Mi capita di arrivare in questi piccoli villaggi dell’Asia e di essere accolto con calore da tutti. Un uomo che viaggia da solo a bordo di una moto attira sempre le simpatie e perciò c’è ospitalità, ci sono consigli, spiegazioni di strade da seguire. L’essenza del viaggio non è lo stare da solo ma il comunicare con gli altri. Io parlo un po’ di inglese, qualche parola di spagnolo e so leggere un po’ di cirillico, indispensabile per riuscire a leggere i cartelli stradali in Russia. Per il resto mi esprimo a gesti con chi incontro e ho constatato che si tratta di un sistema antico ed efficacissimo.


<<L’unico problema vero è la solitudine. Quella, nei viaggi molto lunghi, aggredisce e si deve imparare a tenerle testa. Ma è sbagliato affrontarla, la si deve invece accettare. Se la scegli, la solitudine non è un peso ma solo un aspetto del viaggio con il quale convivere. Ho guidato per giorni su strade deserte, con il nulla attorno, e per ingannare il tempo cantavo, parlavo ad alta voce con me stesso. E pensavo alla mia famiglia, ai miei genitori e a mia sorella, che mi aspettavano a casa.
<<Sono consapevole che si tratta di un mestiere rischioso, non lo metto in dubbio. Ma il rischio fa parte della scelta di vita che ho fatto. Non si può evitarlo e tanto meno prevederlo. E’ impossibile pensare di evitare qualsiasi problema viaggiando da solo in Sudamerica o in Siberia. Sono innumerevoli le cose che possono andare storte. Però, non è nemmeno il caso di farne una malattia. Si accetta il rischio come parte del viaggio, come si accettano i paesaggi meravigliosi che si incontrano. Devo dire però che, dopo tutte le esperienze fatte, ho sviluppato una specie di sesto senso che mi dà utili suggerimenti. Mi fido di queste sensazioni e cerco sempre di seguirle. Certo che ci sono stati momenti davvero difficili, in alcuni casi ho temuto per la mia vita. Ad esempio, mi sono quasi disidratato completamente nel deserto di Atacama in Cile, a Lima ho avuto un serio incidente stradale, in Colombia, dove viaggiavo con un fucile a canne mozze infilato nel sacco a pelo, sono stato quasi sequestrato dai guerriglieri e in Nicaragua sono finito in cella. Ho avuto paura, certo, ma grazie a Dio me la sono sempre cavata. Durante il viaggio da Venezia a Pechino sono rimasto bloccato per settantasei giorni ad Almaty, sul confine tra Kazakistan e Cina, in attesa di ottenere la patente stradale cinese. Per tutto quel tempo ho vissuto come un cittadino kazako, andavo al mercato, ho fatto amicizia con i contadini, ho conosciuto molta gente. Trovo sempre il lato positivo in tutto, sono un grande ottimista. Penso che siano doti importanti per chi vuole viaggiare il mondo. E se poi trovo un intoppo insormontabile, lo prendo come un segno del destino e non mi accanisco.


<<Viaggio e lascio tutto dietro di me. Ma gli affetti più cari, quella della famiglia, mi seguono ad ogni istante. E’ sempre una sofferenza sapere che mia madre, mio padre, mia sorella e la mia ragazza sono in pensiero per me. Ma non posso fare diversamente. E’ difficile spiegare: la mia non è una moda passeggera, un desiderio di farsi vedere. Ho realmente bisogno di viaggiare e di sentirmi libero proprio come ho bisogno dell’aria che respiro. La mia famiglia che mi conosce e mi vuol bene, sa tutto questo e sa che se dovessi restare a casa diventerei un infelice. Penso alla mia ragazza. Il nostro è un rapporto ormai consolidato e certamente speciale altrimenti non sarebbe durato. Lei ha accettato tutto di me, compreso il mio desiderio di libertà. E lo rispetta. So che è difficile, perché quando parto resto via per quattro o cinque mesi. Ma accetto anche la possibilità che un domani lei si rifiuti di andare avanti, può capitare. Anche se spero che il nostro amore duri per sempre.


<<So bene che dicendo queste cose, posso passare per un egoista. Ma la verità è che non posso tarparmi le ali, non posso imprigionarmi in una vita tranquilla perché ne morirei. Certo, mia madre avrebbe probabilmente preferito che io avessi fatto un lavoro “normale”, il commercialista ad esempio. Ma il fuoco che ho dentro e mi spinge a viaggiare brucia troppo. Sono fatto così, non posso cambiare.

Acquista online Marco Deambrogio