UN LIBRO PER AMICO - Piccolo contenitore dove consigliare i libri che mi hanno tenuto, e mi tengono ancora oggi, la migliore delle compagnie.
 

IL CAPOLAVORO DI HEMINGWAY

di Roberto Allegri

Copyright © 2007  editorialegliolmi.it   tonyassante.com

Acquista i libri di Ernest Hemingway

Parlare di “Il vecchio e il mare” di Ernest Hemingway può essere quasi pretenzioso. E’ un libro che si legge a scuola, che viene usato nelle università. Sulle pagine del romanzo si sono espressi illustri critici e i massimi esperti di letteratura americana. A citarlo quindi, a portarlo come esempio, si corre il rischio di voler “apparire”, darsi delle arie.
Eppure, per me, il romanzo di Hemingway è stato e continua ad essere un’infinita lezione su come si usa la penna. Sento di poter dire tranquillamente che tutti quelli che vogliono fare gli scrittori, che hanno questo impulso o questo desiderio, devono almeno una volta leggere “Il vecchio e il mare”. Anzi, probabilmente una volta sola non basta perché, come sempre accade coi libri davvero scritti bene, ad ogni lettura si scoprono particolari e sfumature precedentemente sfuggiti. Così si ha l’impressione di avere tra le mani sempre un libro nuovo.

La prima volta che ho letto “Il vecchio e il mare” avevo dieci anni. Ricordo bene che compresi in parte la storia ma null’altro. Hemingway non ha uno stile immediato anche se semplice. E’ un “semplice” che nasconde una potente complessità strutturale e, nonostante la storia raccontata sia fluida e chiara, si deve forse avere più di dieci anni per assorbire le pagine come si deve.

In aiuto mi venne anche il film che, nel 1958, il regista John Sturges diresse basandosi sul romanzo e sulla sceneggiatura alla quale lo stesso Hemingway collaborò. Protagonista del film, l’immenso Spencer Tracy che proprio quell’anno ebbe la nomination all’Oscar come miglior attore. Il film invece vinse l’ambita statuetta per la Colonna Sonora.

Della pellicola ricordo, tra le altre cose, la voce narrante che, nella versione italiana, era di Gino Cervi. Cervi leggeva dei passi del libro in alcuni momenti salienti del film e da quel momento, ogni volta che apro il romanzo, ne sento uscire in modo magico la voce del grande attore bolognese.
L’età adulta mi ha poi portato una visione diversa del romanzo di Hemingway. Più acuta e profonda. E adesso non rimango mai più di un anno senza rimettere gli occhi a quelle frasi, a quelle costruzioni, a quella pulizia di scrittura che innonda, permea, lascia totalmente arricchiti.

La storia raccontata nel romanzo, apparso per la prima volta sulla rivista “LIFE” nel 1952, è ormai arci-famosa. Santiago è un vecchio pescatore cubano che, dopo quasi tre mesi passati senza catturare alcun pesce, riesce a fare abboccare alla lenza un enorme marlin. La lotta tra l’uomo e il gigantesco pesce dura tre giorni e tre notti ma alla fine il vecchio Santiago riesce ad uccidere l’animale. Si appresta allora a tornare verso terra, trascinando la sua preda ma gli squali, attirati dal sangue del marlin, si avventano sul corpo del pesce lasciando alla fine solamente la testa.

L’inizio del romanzo vale tutto. E’ il meglio di Hemingway e rivela anche il suo mestiere di giornalista, di inviato, professione che lo scrittore praticò per tutta la vita.

Era un vecchio che pescava da solo su una barca a vela nella Corrente del Golfo ed erano ottantaquattro giorni che non prendeva un pesce.

Sembra l’attacco di un perfetto articolo di cronaca. Liscio, pulito, diretto. Poche righe, senza nemmeno una virgola ad intralciare il passo. Poche righe che dicono tutto, che raccontano esse da sole, una storia completa.
Le descrizioni ne “Il vecchio e il mare” lasciano senza fiato. Hemingway le scriveva sempre a mano. Disse una volta in un’intervista: “Scrivo a mano le descrizioni perché per me è la parte più difficile e quando si scrive a mano si è più vicini alla carta.”
Lo stile descrittivo di Hemingway è sempre al massimo livello dell’efficacia, in tutti i sette romanzi che precedono “Il vecchio e il mare” e nelle centinaia di racconti. Ma nel 1952 Hemingway dà il meglio di sé. Come se tutta l’esperienza accumulata in 53 anni di vita, i suoi viaggi, gli incontri, tutto il tempo passato alla macchina da scrivere si fosse condensato lì, in quel romanzo breve, che è il suo indiscusso capolavoro.

Ecco, ad esempio, come presenta il vecchio Santiago:

Il vecchio era magro e scarno e aveva rughe profonde alla nuca. Sulle guance aveva le chiazze del cancro della pelle, provocato dai riflessi del sole sul mare tropicale. Le chiazze scendevano lungo i due lati del viso e le mani avevano cicatrici profonde che gli erano venute trattenendo con le lenze i pesci pesanti. Ma nessuna di queste cicatrici era fresca. Erano tutte antiche come erosioni di un deserto senza pesci.

A volte bastano poche parole per creare un’immagine enorme, dilatata, che nella mente di chi legge si imprime e genera sensazioni fisiche. Ad esempio:

Il vecchio intendeva dirigersi al largo e si lasciò l’odor della terra alle spalle e remò nel fresco odor dell’oceano del primo mattino.

Hemingway amava profondamente il mare. Passò quasi tutta la vita, lui che era nato nei boschi dell’Illinois, in riva all’Oceano. Prima in Florida e poi a Cuba. Amava la vita di mare, la gente che nel mare trova di che campare. Era amico di pescatori e marinai e proprio uno di questi, Gregorio Fuentes, fu l’uomo che lo ispirò nella scrittura del personaggio di Santiago. Perciò, quello che Santiago sente per il mare e dice sul mare è proprio il pensiero dello scrittore che si confessa.

Pensava sempre al mare come a la mar, come lo chiamano in spagnolo quando lo amano……………il vecchio lo pensava sempre al femminile e come qualcosa che concedeva o rifiutava grandi favori e se faceva cose strane o malvagie era perché non poteva evitarle. La luna lo fa reagire come una donna, pensò.

E ancora:


Poco prima che scendesse il buio, mentre oltrepassavano una grande isola di sargassi che si gonfiava e muoveva nel mare chiaro come se l’oceano facesse all’amore sotto una coperta gialla, alla lenza piccola abboccò un delfino.

“Il vecchio e il mare” è una lezione che non finisce mai. E’ l’evidenza di come si pratica il mestiere dello scrittore, con la costanza e l’attenzione di un artigiano al lavoro nella sua bottega. E’ la dimostrazione di come si debba passare tempo sulla pagina a limare, sistemare, ascoltare, livellare al fine di avvicinarsi il più possibile alla perfezione. Lo stesso Hemingway lo disse in un’intervista: “Molti scrittori tralasciano la parte più difficile e insieme la più importante del loro mestiere: correggere quello che hanno scritto, affilarlo e affilarlo finchè non diventa tagliente come l’estoque di un torero, la spada per uccidere.”

Con “Il vecchio e il mare” Ernest Hemingway vinse il Premio Pulitzer nel 1953. E l’anno dopo, 1954, il Nobel. Lo scrittore però non partecipò alla premiazione a Stoccolma, portando come giustificazione alcuni problemi di salute. Ma pare anche a causa della sua timidezza profonda e del fatto che odiasse lo smoking. “Mettermi un paio di mutande è il massimo di etichetta cui spero di arrivare” disse una volta all’amico giornalista Aaron Edward Hotchner.
Affidò però un messaggio di ringraziamento che venne letto dall’ambasciatore degli Stati Uniti durante la cerimonia. Vale la pena che lo aggiunga qui sotto perché non solo rappresenta “la voce” di Hemingway ma anche l’ennesimo insegnamento su cosa significa essere uno scrittore al di là dei riconoscimenti pubblici.

“Membri dell’Accademia svedese, signore e signori. Non avendo facilità di parola, né doti oratorie, né maestria nell’arte della retorica, voglio ringraziare per il premio gli amministratori della generosità di Alfred Nobel. Nessuno scrittore che conosca i nomi dei grandi autori che non l’hanno ottenuto può accettarlo senza umiltà. Non c’è bisogno di elencarli. Ognuno dei presenti può compilare la propria lista secondo la sua coscienza e le sue conoscenze. Mi sarebbe impossibile chiedere all’ambasciatore del mio paese di leggere un discorso nel quale uno scrittore dice tutto quello che ha nel cuore. Le cose possono non essere immediatamente discernibili in ciò che un uomo scrive, e questa a volte è per lui una fortuna, ma col tempo diventano abbastanza chiare e grazie ad esse, e alle qualità alchemiche di cui dispone, egli resisterà al tempo o sarà dimenticato. Quella dello scrittore è, nella migliore delle ipotesi, una vita solitaria. Le organizzazioni possono alleviare la sua solitudine, ma dubito che migliorino il suo modo di scrivere. Man mano che si distacca da questa solitudine, egli acquista peso come personaggio pubblico, ma spesso a scapito della sua opera. Perché è un lavoro che deve fare da solo, e se è scrittore abbastanza buono, deve affrontare ogni giorno l’eternità o l’assenza di eternità. Per un vero scrittore, ogni libro dovrebbe essere un nuovo inizio nel quale cercare ancora una volta qualcosa che è impossibile raggiungere. Egli dovrebbe sempre cercare cose che non sono mai state fatte o che altri hanno tentato invano. In questo può talvolta accadergli, con molta fortuna, di riuscire. Come sarebbe semplice fare della letteratura, se bastasse scrivere in un altro modo ciò che è già stato scritto bene. E’ perché nel passato abbiamo avuto autori così grandi che uno scrittore sente il desiderio di spingersi parecchio al di là del punto cui può arrivare, in un luogo dove nessuno può aiutarlo. Ma per essere uno scrittore ho già parlato troppo. Quello che ha da dire uno scrittore dovrebbe scriverlo e non pronunciarlo. Di nuovo vi ringrazio”.


Acquista i libri di Ernest Hemingway