PAROLA DI GATTO - Roberto Allegri, esperto in etologia, autore di diversi libri sul comportamento degli animali domestici, cerca di interpretare ciò che i nostri mici vorrebbero dirci 

 

 HEMINGWAY E I GATTI

 

DI Roberto Allegri

 

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Almeno una volta l’anno leggo “Il vecchio e il mare” di Ernest Hemingway. Lo considero un capolavoro di equilibrio e struttura, un esempio di cosa significhi scrivere bene e nello stesso tempo scrivere in maniera semplice. E mentre mi perdo in quelle pagine che ormai conosco quasi a memoria, mi pare a tratti di sentire una voce leggere insieme a me. E’ quella di Gino Cervi, la voce narrante del film con Spencer Tracy che nel 1958 venne realizzato proprio sul romanzo. Ricordo di averlo visto che ero un bambino e che mi aveva completamente affascinato. Forse è per questo che la voce narrante mi è rimasta dentro.

 

Ora poso “Il vecchio e il mare” sul divano, mi alzo per andare a fare due passi. Ma ecco che la mia gatta Amneris balza sul libro, poi si accomoda ripiegando le zampine sotto di sé. E si mette a fare le fusa.

 

<<Amneris! Si direbbe che Hemingway piaccia anche a te!>>, le dico.

 

<<E vorrei vedere!>>, mi risponde. <<A tutti i mici piace Hemingway. E’ uno dei nostri autori preferiti. Lo sapevi che era un grandissimo amante di gatti?>>.

Amneris si mette seduta, alza il musetto e piega la coda attorno a sé. E’ la posizione tipica di quando “sale in cattedra”. Sta per impartirmi una delle sue lezioni.

<<Devi sapere che Hemingway ha sempre fatto di tutto per coltivare la sua immagine di “duro”. Era un cacciatore, un pescatore d’altura, un pugile. Era un dongiovanni e un bevitore incallito. Ma era anche di una tenerezza infinita con i suoi amici gatti. Un giorno scrisse in una lettera ad un caro amico: “I gatti dimostrano di avere un’assoluta onestà emotiva. Gli esseri umani, per una ragione o per l’altra, quasi sempre riescono a nascondere i propri sentimenti. I gatti no.” E ti dirò di più. Nel romanzo “Isole nella corrente”, pubblicato postumo e che viene considerato dai critici il più autobiografico dei suoi libri, Hemingway descrive il protagonista, Thomas Hudson, che riposa teneramente abbracciato al suo micio. Si legge: “Aveva il gatto allungato sul petto e tirò una leggera coperta su tutti e due e aprì e lesse le lettere e bevve a piccoli sorsi un bicchiere di whisky annacquato che tra un sorso e l’altro rimetteva per terra.” E poi ancora: “Il gatto faceva le fusa, ma lui non lo sentiva perché le fusa del gatto erano mute, e allora lui teneva una lettera in mano e toccava la gola del gatto con un dito dell’altra.” Sono frasi che solo una grande passione per i gatti può ispirare.>>

<<Ho sentito dire che a casa sua vivevano molti mici>>, dico per far vedere ad Amneris che qualcosa so pure io.

<<Nella Finca Vija, la grande villa che possedeva a Cuba, Hemingway ne aveva cinquantasette!>>, mi risponde pronta. <<Lo scrittore aveva fatto costruire per loro una torre: al piano superiore aveva ricavato un piccolo studio per sé e in quello inferiore aveva sistemato le cucce per i suoi piccoli amici. Quando era in giro per il mondo, in Africa, in Spagna o in Italia, Hamingway telefonava spesso a casa per avere notizie dei gatti. In particolare era affezionato a Crazy Christian, Friendless’ Brother e Ecstasy. E ai suoi piccoli amici dedicò spesso alcune delle sue avventure.>>

<<Intendi dire avventure scritte?>>

<<No, Avventure vere, vissute da Hemingway sulla propria pelle. Nel 1942, ad esempio, la Marina degli Stati Uniti gli affidò il compito di pattugliare le coste di Cuba con il suo yacht alla ricerca di sottomarini tedeschi. Si trattava di un’operazione top-secret che lo scrittore ribattezzò “Frindless”, lo stesso nome di uno dei suoi gatti. E sempre durante la seconda guerra mondiale, Hemingway ebbe l’idea di costituire una specie di agenzia di spionaggio con base nella sua Finca di Cuba. Il nome dell’operazione fu “Crook Factory”, dal nome, Crook, di uno dei gatti che più amava.

<<Esiste una foto che ha fatto il giro del mondo e che ritrae lo scrittore seduto nello studio, con la luce che entra dalla grande vetrata alle sue spalle e che illumina la scrivania, piena zeppa di carte, fascicoli, cartelle, taccuini. Hemingway è davanti alla macchina da scrivere e con una mano accarezza un gatto che cammina sui fogli. La coda del micio è tenuta alta, con la punta ripiegata nell’atteggiamento amichevole di chi saluta ed è quindi facile immaginare la scena. Hemingway sta lavorando quando uno dei suoi gatti viene a fargli visita, salta sul tavolo e lo saluta, magari cercando tra le carte un posticino dove addormentarsi. Lo scrittore allora interrompe quello che sta facendo per contraccambiare le attenzioni del piccolo amico. E chissà quante volte sarà capitata una cosa del genere dal momento che, come ti ho detto, i mici che abitavano con lui era ben cinquantasette.

<<Purtroppo capitarono anche dolorosi incidenti. Ho saputo che un giorno una gattina di casa Hemingway attraversò la strada fuori dalla tenuta e venne investita da un’automobile di passaggio. Ferita a morte, riuscì a trascinarsi fino sull’ingresso dove Hemingway la trovò. Lacerato dai miagolii di agonia della povera gatta, lo scrittore decise di porre fine, con le sue mani, alle sofferenze dell’animale. I domestici lo trovarono poi con la micia tra le braccia, mentre piangeva come un bambino.>>