Ricordando la scomparsa di un grande personaggio della “Chiesa del Silenzio”, il vescovo slovacco monsignor Pavel Hnilica, morto a 85 anni

 

 

LA  “PRIMULA ROSSA”

 

DI DIO

 

 

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di Renzo Allegri

 

 

 

In Slovacchia, la sua patria, ora che ha chiuso la sua esistenza terrena, monsignor Pavel Hnilica è stato onorato come un eroe nazionale. Ha avuto funerali nella Cattedrale di Trnava, la Roma slovacca, con una concelebrazione di 30 vescovi e 300 sacerdoti alla presenza delle massime autorità politiche e una gran folla commossa. Dalla sua terra  era fuggito nel 1951 perché condannato a morte  colpevole di essere un sacerdote, quindi “spia del Vaticano”. Tutti gli altri giorni della sua esistenza li ha vissuti  in esilio. I giornali comunisti dei Paesi dell’Est, quando scrivevano di lui lo indicavano come “il nemico numero uno”. Ma ora è tutto dimenticato, cancellato . Pavel Hnilica, arcivescovo cattolico, morto a 85 anni, è un eroe nazionale,  una figura leggendaria, con imprese da “OO7”,  che vengono narrate alle giovani generazioni con orgoglio.

<<Per un periodo di tempo, negli Anni Settanta, sono stato il suo segretario>>,  dice don Sergio Mercanzin, direttore di Russia Ecumenica <<ed l’ho visto impegnato in vicende veramente temerarie. Benchè condannato a morte dal Comunismo sovietico, riusciva, servendosi di travestimenti e di documenti falsi, ad entrare nei Paesi dell’Est  per salvare persone, portare conforto ai credenti della Chiesa del Silenzio, compiere missioni segrete. Sfuggiva sempre ai  poliziotti e agli stessi agenti dei  servizi segreti del KGB,  che gli davano la caccia>>.

Era molto amico di Giovanni Paolo II, di Madre Teresa di Calcutta, di Suor Lucia di Fatima, e quando incontrava questi straordinari personaggi era sempre disponibile ha raccontare, a riferire storie e informazioni. <<Bisogna che il mondo sappia quanto grande è la bontà di questi  testimoni della fede>>, diceva.

Ma testimone straordinario lo era anche lui. <<Un grande testimone>>, afferma don Sergio Mercanzin. <<E per me, era anche un grande santo. Ho vissuto, ho viaggiato con lui. Non pensava mai a se stesso, ma agli altri, ai poveri, a chi era in difficoltà e lo faceva con la fede e l’amore dei santi. Quando qui a Roma incontrava qualche profugo dai Paesi dell’Est, le prime domande che gli rivolgeva erano concrete: ¨Hai mangiato? Hai un posto dove andare a dormire?” E spesso, alla sera, arrivava nella sua abitazione con un nuovo inquilino per il quale trovava sempre una sistemazione>>.

Nel 1976, quando lo incontrai per la prima volta, si batteva per far conoscere al mondo Occidentale la triste storia di un suo amico slovacco,  il vescovo Jan Korec, oggi cardinale della  Chiesa Cattolica. <<Da 25 anni, in Cecoslovacchia è perseguitato per la sua fede>>, mi diceva. <<Ha subito condanne ai lavori forzati, è stato in galera e ora per vivere fa lo spazzino a Bratislava. Ma è molto malato.  Le autorità comuniste non gli permettono di curarsi. Tutti i giorni deve essere al lavoro, sotto il sole, o la pioggia, a volte nel gelo. Bisogna scrivere di lui. Raccontare la sua storia. Le autorità comuniste temono il giudizio del mondo libero. Scrivere di lui sui giornali, significa aiutarlo a vivere>>.

Per raccontarmi la storia di Jan Korec, Pavel Hnilica fu costretto a rivelarmi un po’ della sua vita. Figlio di poveri contadini, primogenito di otto fratelli, aveva cominciato a lavorare la terra fin da ragazzino. Ma il suo sogno era quello di diventare sacerdote. A 17 anni, la famiglia volle che lui seguisse la sua strada. Dotato di una vivissima intelligenza, riprese i libri e in un paio d’anni aveva superato gli studi liceali ed aveva iniziato a studiare teologia entrando nella Congregazione dei Gesuiti.  La guerra lo costrinse a interrompere gli studi per fare il soldato. E dopo la guerra, quando i comunisti conquistarono il Potere in Cecoslovacchia,  ebbe inizio la sua speciale e straordinaria missione.

<<I Comunisti consideravano a Chiesa il nemico da abbattere>>, mi raccontò. <<Tentarono di eliminarla con la forza.  Il 21 marzo 1948 nazionalizzarono tutti i beni ecclesiastici, conventi e chiese comprese. Qualche mese dopo, abolirono la Stampa cattolica e le Associazioni cattoliche.

<<La situazione si faceva molto brutta. Io, in segreto, mi stavo preparando al sacerdozio, ma, per strane coincidenze,  ero anche un “infiltrato” tra  i comunisti. Facevo parte  dell’organizzazione giovanile comunista, ero un dirigente dei gruppi giovanili, e studiavo russo e filosofia comunista all’Università di Bratislava.

<<A Karlovy Vary, città della Boemia occidentale, in quel periodo si tenne un convegno dei responsabili della campagna atea di tutti i paesi comunisti dell’Europa per discutere su come distruggere la Chiesa Cattolica. E io, in qualità di giovane dirigente comunista, potei consultare gli atti segreti di quel convegno e di studiare il piano che era stato messo a punto. Era un piano diabolico, e informai i miei superiori e alcuni vescovi che conoscevo.

<<Nel 1949 iniziarono  gli arresti in massa dei sacerdoti, dei religiosi, delle suore, dei seminaristi. Verso la fine del 1950, la Chiesa cecoslovacca era paralizzata: tutti i vescovi si trovano in prigione o agli arresti domiciliari; i sacerdoti, i religiosi, le suore erano stati deportati: le chiese, i conventi, i monasteri, i seminari chiusi. Il piano dei comunisti  prevedeva la fine della chiesa in Cecoslovacchia per mancanza di ricambio.   Morti i sacerdoti deportati, tutto sarebbe finito. I vescovi  incarcerati cominciarono a pensare all’avvenire della Chiesa in Cecoslovacchia, e  decisero di fondare una “Chiesa clandestina”. Nacque così la “Chiesa delle catacombe”, la “Chiesa del silenzio”. Bisognava ordinare sacerdoti e vescovi che non fossero “conosciuti” come tali dal regime e potessero vivere fuori delle carceri come normali cittadini e, in gran segreto, continuare e tener viva la fede tra la gente>>

Il primo protagonista di quella “Chiesa del silenzio” in Cecoslovacchia fu proprio lui, Pavel Hnilica. Venne scelto dai vescovi incarcerati, ordinato sacerdote e vescovo e incaricato di ordinare altri sacerdoti e vescovi.

<<Per una serie di circostanze misteriose che non mi sono mai spiegato>>, mi raccontò Pavel Hnilica <<La polizia comunista non aveva una documentazione completa della mia identità. Sapevano che ero uno studente universitario, che facevo parte dell’organizzazione comunista giovanile, che frequentavo l’Accademia militare,  che mi ero diplomato infermiere, che frequentavo anche la Facoltà di Medicina, ma probabilmente avevano smarrito le carte che riguardavano il periodo precedente la guerra, quando ero studente nella congregazione dei gesuiti. Tutti quei miei impegni all’Accademia militare, all’Università, tra i giovani comunisti, giocavano a mio favore. Ero pieno di carte, di permessi che creavano confusione  permettendomi una certa libertà di movimento.

<<Viaggiando, tenevo contatti, in forma segretissima, con i miei superiori, con i vescovi incarcerati, con i credenti clandestini. E così fui scelto per diventare sacerdote di quella “Chiesa del silenzio” che i vescovi volevano creare per salvare la Fede in Cecoslovacchia.

<<La mia ordinazione sacerdotale avvenne in un ospedale. Il vescovo di Roznava, monsigor Robert Pobozny, molto ammalato, era agli arresti domiciliari nella sua abitazione. Con la collaborazione di medici e altri credenti, fu organizzata una visita medica urgente in ospedale. Il vescovo arrivò scortato da poliziotti che non lo abbandonavano mai. Il medico, dopo averlo visitato a lungo, disse che le condizioni dell’ammalato erano molto serie ed era necessario un controllo accurato nel reparto malattie infettive. I poliziotti si consultarono e decisero di attendere il prelato restando fuori da quel reparto.  Io, invece, ero già là che lo aspettavo. Era il 29 settembre 1950 e alla presenza di due sole persone, una suora e un seminarista, monsignor Pobozny mi ordinò sacerdote.

<<Iniziai la mia missione. Viaggiavo per  ragioni di studio e di lavoro, e tenevo i contatti con credenti che vivevano la loro fede  clandestinamente, come al tempo delle catacombe.  Celebravo la messa, i battesimi, i matrimoni di notte, nei luoghi più impensati.

<<Un giorno ricevetti un messaggio segreto in cui mi si diceva che dovevo riprendere contatti con il vescovo Robert Pobozny  per essere ordinato a mia volta vescovo. La notizia mi sconvolse. Ero sacerdote da appena due mesi. Ma mi resi conto che la situazione era gravissima, Mi recai a Roznava e organizzai l’incontro, sempre con lo stratagemma di una visita medica urgente in ospedale. Anche in questa occasione, i medici riuscirono a ingannare le guardie. La mia ordinazione avvenne  nei sotterranei dell’ospedale, in una cantina adibita a deposito. L’addobbo sacro era costituito soltanto da due candele accese>>.

Da quel momento, la missione di Monsignor Pavel Hnilica divenne quella di consacrare altri sacerdoti e altri vescovi. Dare vita, cioè, a una gerarchia ecclesiastica cattolica clandestina per tenere viva la Chiesa. Continuò a viaggiare. Il  primo sacerdote lo ordinò il 25 febbraio 1951. E poi ne seguirono altri, una quarantina circa, in pochi mesi.  La notte tra il 24 e il 25 agosto  1951consacrò vescovo Jan Korec, che ora è cardinale. Ma qualcuno tradì. La polizia e i servizi segreti scoprirono la sua vera attività. Venne spiccato un mandato d’arresto. Per sfuggire agli agenti, Hnilica viaggiava in continuazione, usando rocamboleschi travestimenti e documenti falsi. Era un’autentica “primula rossa”.  <<Spesso  mi consideravo perduto>>, mi raccontò. <<Ma all’ultimo momento accadeva  sempre qualche cosa e riuscivo a fuggire. Un giorno viaggiavo in treno. C’era un posto libero, ma accanto a un poliziotto. La gente preferiva stare in piedi piuttosto che sedersi vicino a un poliziotto. Ero stanco morto, non mi reggevo in piedi e mi sedetti in quel posto. Il poliziotto mi prese subito in simpatia, avendo constatato che non lo sfuggivo come facevano tutti. Parlammo cordialmente. Poi, mentre il treno era in corsa, egli si alzò in piedi e disse forte: “Polizia di Stato, voglio controllare i documenti di tutti”. Altri poliziotti in borghese erano presenti. Cercavano me. Mi sentii perduto. Presi i miei documenti falsi, e li porsi al poliziotto. Lui sorridendo mi disse: “Non c’è bisogno, noi ci conosciamo già”, e fui salvo.

<<Verso la fine del 1951 seppi che ero stato condannato a morte.  Ricevetti l’ordine dai miei superiori di lasciare la Cecoslovacchia e di andare a Roma, e informare il Papa della situazione. La notte del 3 dicembre, con l’aiuto di amici, riuscii a passare il confine guadando il fiume Morava. Raggiunsi l’Austria e poi Roma>>.

Monsignor Hnilica visse sempre a Roma, ma continuò a lavorare per i credenti dei Paesi dell’Est. Sostenne in tutti i modi la “Chiesa del Silenzio”. Ogni tanto compiva missioni segrete in quelle nazioni, missioni di cui forse non si saprà mai niente. Fondò anche una  straordinaria Congregazione religiosa, “Pro Deo et Fratribus”.  Ebbe l’amicizia di Giovanni Paolo II, che conosceva bene il martirio della “Chiesa del silenzio”. Fu grande amico di Madre Teresa e la aiutò a portare le sue suore a Roma e a Mosca. Andava spesso a Fatima, per incontrare Suor Lucia, la veggente.

<<Fu un accanito avversario della ideologia comunista>>, dice Don Sergio Mercanzin <<ma  non delle persone. Di nessuna persona. Ogni essere umano era per lui un fratello.

<< Quando morì Enrico Berlinguer, mi chiese di accompagnarlo per andare a rendere omaggio alla salma. Mi disse: “Adesso non è più un politico, non è più un comunista, è solo una persona che si trova di fronte a Dio. E poiché io lo considero un fratello, perché siamo tutti figli di Dio, desidero andare a rendergli omaggio e a pregare di fronte alla sua salma”.

<<Erano nel 1984, anni ancora difficili. Io lo accompagnai. Andammo a Piazza Venezia, alle Botteghe Oscure, dove la salma era esposta. C’era un fila pazzesca di gente che voleva dare l’ultimo saluto a  Berlinguer. Monsignor Hnilica, ha scavalcato la fila, si è presentato all’ingresso, è stato subito riconosciuto. Venne fermato il flusso dei visitatori e noi due fummo accompagnati davanti alla salma del leader comunista.  Restammo alcuni minuti in preghiera, poi Monsignor Hnilica tracciò una benedizione e uscimmo. I capi comunisti hanno voluto salutarlo e ringraziarlo>>.