Il grande albero

(a Karol Wojtyla)

 

Come il grande albero

cavo della foresta, consunto

dal galoppo di secoli.

Come i rami ossuti e anneriti che

han visto transitar la storia.

 

Una notte di freddo

e vento, ha ceduto.

 

L’ora stabilita.

Sussulto del gran tronco

e crepitio di tuono. Il gigante

crolla al suolo, i cuori

vacillano nella nuova incertezza.

 

Ma nulla si perde.

Feconda, la moltitudine

del suo esistere dona

cibo e riparo. La foresta

ricorda ch’era ponte tra cielo

e mondo, tra pianto d’uomo

e voce di nuvola.

Oltre la terra ferita, lascito

silente, il monumento della

sua presenza resta. E sotto

la corteccia, protetti ora

si fan strada i virgulti

verdi di forza.

 

Lo stesso, mi sento orfano

d’un padre mai incontrato. Porto inciso

profondi

i segni delle sue parole e trascino

pesante

il dolore non di esser stato

parte del suo esercito

a combatter le guerre

per il mondo.

 

Ma inossidabile

è la disperata decisione

di seguir la sua strada. È sentimento

lucente in questo giorno di ghisa.

Gli occhi pungono

e le tempie ballano e il petto

butta sospiri, spiriti

desolati a fondersi con l’aria.

 

Con un dolore che non sapevo

sì forte, ondeggio

lacerato sotto l’insipido sole

assente

e covo pensieri di nuova vita.

Mi tiro dietro il sacco

colmo dei “se”, pietra

di forzato a ricordarmi il tempo

non vissuto

bruciato

divenuto ora preghiera affilata

per una seconda occasione.