La veglia e la festa?
Due parole sulla seconda e due anche sulla prima. La
festa. Anche
se la veglia è stata un po? più lunga e movimentata del previsto, alla
fine, la festa c?è stata. Ed
è stata una bellissima festa. Non
che sia una novità per quei pirotecnici incontri ravvicinati che sono i
nostri raduni. Al
contrario: non se ne ricorda uno che non ci abbia nutriti delle emozioni
che inseguiamo per far sì che il nostro tempo valga la pena di ospitarci
tra i suoi inquilini. Ma
è sempre bello poterlo riconoscere a cuore aperto e ascoltare vibrare,
una seconda volta, le emozioni di ritorno che la memoria ci regala, quando
ci accompagna ad indagare il passato. E
non solo perché, come si dice, ?tutto, in lontananza diventa poesia?, ma
anche perché il riprodursi di questa energia positiva aiuta a ricaricare
le batterie e ci dà un po? di spinta in più per affrontare tutto il
resto. Ed
è bello poter gustare ?anzi rigustare- insieme la filigrana particolare
di queste emozioni con quanti, come voi, hanno soffiato l?anima della
passione in questa festa e l?hanno resa ciò che tutti noi desideravamo
intensamente che fosse: una festa, appunto. Confesso
che era tempo che non vivevo un clima così intenso e così acceso e che
non partecipavo ad una festa così bella. Credo
che nessun teatro abbia mai ospitato una serata così. E credetemi:
qualche teatro l?ho visto e a qualche serata ho partecipato. Non lo dico
per piacere o per compiacere, ma perché è quello che sento: ciò che
motiva il grazie che vi devo e l?affetto che vi restituisco. E?
inutile: ci sono emozioni alle quali non ci si abitua mai. La
corsa pazza ad occupare i posti del teatro che, dietro le quinte, abbiamo
vissuto come il crescere, sempre più forte, del richiamo incalzante di un
milione di tamburi sempre meno? lontani; i
visi trasfigurati delle emozioni che raggiungono, finalmente, la
superficie dopo la lunga apnea dell?attesa; gli
occhi aperti a rubare e imprimere ogni istante sulla pergamena dell?anima,
perché nulla vada perduto; le
labbra deformate dall?urlo del canto e le braccia alzate al cielo a
lanciare in aria tutte le lettere e i simboli dell?insondabile dizionario
delle emozioni. Sono
cose alle quali non ci si abitua mai. Così
come non mi abituerò mai alla scossa che dà questo corto circuito di
energia. Questa marea di elettricità invisibile che passa di mano in
mano, dal-palco-alla-platea-dalla-platea-al-palco,
dove non solo mai una goccia si va
a perdere, ma che monta, monta, monta fino a scaricarsi con tutta la
forza sulla spiaggia della nostra sensibilità, per una mareggiata
salutare di nuova vitalità. Una
grande festa, allora. Che
mi ha reso felice e per la quale non posso che restituirvi il grazie che
era contenuto nei vostri sguardi e nelle vostre parole. La
veglia. E,
forse, mai raduno ha avuto un titolo più azzeccato di questo. ?La
veglia e la festa?. Come dire l?attesa e la gioia. E,
visto che della festa ho parlato, vorrei dire due parole anche riguardo
alla veglia che l?ha preceduta. Anche
queste sono cose alle quali non ci si abitua mai (ma per altre ragioni,
purtroppo). E
io non ho alcuna intenzione di abituarmici. Se
la parola regina della festa è stata emozione, per la veglia sono
costretto a usare un?altra parola. E
la parola è indignazione e intendo usarla con tutta la sua forza
significativa ed espressiva. Nessuno
?né io, né voi, né nessun altro- in nessuna circostanza e per nessun
motivo è autorizzato a fare ciò che qualche ?vuoto a rendere? con al
collo un pass il cui significato/valore, evidentemente non conosce (come
recita l?abusata saggezza popolare: ?l?abito non fa il monaco?), si è
permesso di fare. Mi
riferisco al modo -inqualificabile e ingiustificabile- nel quale,
addirittura un?ora prima dell?apertura
dei cancelli (e, quindi, quando nessuno poteva presagire i disagi
che si sarebbero manifestati qualche ora più tardi) alcuni individui
aggredivano verbalmente e non solo (c?è chi si è lasciato andare all?incivile
pratica dello sputo), ragazzi del Clab e della Security. Mi
spiace. Ma
è un genere di comportamenti per i quali non c?è scusa. Nessuna. Né
mai ve ne sarà. La
violenza (perché di violenza si tratta) ?fisica, verbale o psicologica
che sia- è, per sua natura, ingiustificabile e inaccettabile, e non ha, né
avrà mai cittadinanza tra quanti intendono avere rapporti con me, con i
miei amici e collaboratori, con il nostro ClaB. Una
piccola parentesi a questo proposito. ClaB
è una libera associazione. Vi
si aderisce per scelta, non per coazione. Chi
ritiene (e ne ha tutto il diritto) di non riconoscersi in ciò che
facciamo e nel modo nel quale lo facciamo sappia che, così come è ampia
la porta per entrare, è altrettanto ampia quella per uscire. Ed entrambe
queste porte sono aperte. Sempre. E
così come noi tutti siamo felici di accogliere chi desidera fare un
piccolo pezzo di strada insieme a noi o ci dispiace (ma non gliene
vogliamo) quando qualche compagno di viaggio decide di sperimentare nuovi
sentieri, allo stesso modo non proviamo alcun disagio (anzi) a invitare ad
allontanarsi chi, nelle parole e nei fatti, dimostra di essere anni luce
lontano dalla nostra idea di stare insieme. So
che la stragrande maggioranza (per non dire la quasi totalità) dei
Clabber condivide questa riflessione e la sottoscriverebbe, e mi
piacerebbe vedere l?e-mail dell?associazione andare il tilt per i messaggi
di simpatia ed affetto per i ragazzi di Clab e per quanti lavorano perché
a me e a voi sia data la possibilità di sognare insieme. E? un lavoro che
merita rispetto: il mio e il vostro. Chiusa
parentesi. L?attesa,
ho detto all?inizio è stata un po? più movimentata del previsto. Ci sono
stati disagi (per i quali ci siamo scusati e ci scusiamo), malumori
(comprensibilissimi e assolutamente legittimi) e anche una certa tensione
(anche questa comprensibile e giustificata, almeno fin quando non
degenera). Per
tutto questo ci tengo a dirvi come sono andate effettivamente le cose e,
adesso che ho avuto modo di ricostruire la giornata fin nei dettagli,
cercare di motivare l?accaduto. Questo,
naturalmente, non elimina né disagi, né malumori, né tensioni, ma aiuta
a capire e serve ?a me e a voi- da esperienza per le occasioni future. Anche
perché ?e di questo garantisco personalmente- chi collabora con me
(tutti, nessuno escluso) lo fa con il massimo impegno, la massima serietà
e la massima professionalità per risolvere e non per creare problemi,
nella speranza di offrire qualcosa di bello che valga la pena di ricordare
e non una serie di sgradevoli momenti da archiviare al più presto. Le
cose sono andate così. Volevamo
un teatro, perché il tema e il tipo di spettacolo che avevamo in mente
erano entrambi ?teatrali?. Un
solo teatro era in grado di ospitare il nostro raduno: il Gran Teatro, che
conta 3050 poltrone e può contenere 3800/3900 persone. Per
le ragioni artistiche accennate all?inizio e per il fatto che dai dati in
nostro possesso (quelli
in base ai quali, ogni anno, ricaviamo la stima delle presenze ai raduni;
stime che evidentemente funzionano, visto che non ci siamo mai sbagliati) il
Gran Teatro era perfettamente in grado (come
poi è effettivamente avvenuto) di ospitarci tutti. Allora
perché le tensioni e i problemi iniziali? Per
una serie di circostanze sfortunate e di spiacevoli fraintendimenti. Vado
con ordine. Aperti
i cancelli, il teatro comincia a riempirsi. Quando si avvicina l?ora
prevista per l?inizio del raduno, la sala è già piena. O,
almeno, così sembra (!!). In
realtà ci sono ancora molti posti vuoti, nascosti da cappotti e zaini, e
moltissimi spazi liberi, occupati da chi preferisce stare in piedi o
accovacciarsi sotto il palco. A
me (che sono dietro il palco e, evidentemente, devo stare a quanto mi
viene riferito) viene dato l?ok per cominciare. C?è ancora una piccola
folla fuori (due/trecento persone), mi si dice, che, però, sta prendendo
?anche se lentamente- posto all?interno. Pochi
minuti e si può partire. Ripasso
ancora una volta tema e scaletta con i miei e mi accingo a iniziare. Nel
frattempo responsabili del Gran Teatro, Vigili del Fuoco e Polizia,
vedendo la sala già piena ?per evitare problemi e fare in modo che
l?accesso avvenga senza rischi per la sicurezza- bloccano gli ingressi, in
attesa di verificare se ci sono le condizioni per far accedere tutti. Peccato
che nessuno -né io, né quelli dentro, né quelli fuori dal teatro-
sappia cosa sta succedendo. Salgo
sul palco e alle note di ?A modo mio? succede il patatrack. Quelli fuori,
credendosi ingiustamente esclusi dal raduno, cominciano (giustamente) a
protestare e premono sui cancelli. Nel
frattempo mi si chiede di dilungarmi sul primo aneddoto (quello del
commissario Cutrufo, per intenderci) in modo da dare il tempo a tutti di
entrare. Così
faccio. Ma
il nodo non si scioglie. Fuori dal teatro la tensione cresce e la
situazione rischia di degenerare e divenire ingovernabile. La
tensione è alle stelle. Le
assicurazioni di Vigili del Fuoco e Polizia non bastano più. Devo
intervenire. Interrompo
lo spettacolo ed esco. Mi arrampico su una transenna, qualcuno recupera un
microfono e un amplificatore e cerco di spiegare alle persone rimaste
fuori (250/300, per quello che vedo e per quanto mi riferiscono sia
Polizia che Vigili del Fuoco) che Vigili del Fuoco e Polizia stanno
verificando spazi e condizioni di sicurezza per far entrare tutti. Se
non dovesse essere possibile ?aggiungo- sono disposto replicare il raduno:
subito, dopo la fine di quello avevamo appena interrotto. La
tensione si raffredda un po?, ma disagio e malumori restano. Né può
essere altrimenti e lo capisco. I problemi organizzativi sono tanti
(viaggi lunghi e faticosi, problemi con gli orari di pullman e treni,
bambini piccoli, un lunedì lavorativo che si fa sempre più vicino, la
stanchezza che si fa sentire sempre di più e il timore che alla
stanchezza si aggiunga la delusione di un incontro mancato) e restano
tutti. C?è
una consultazione febbrile con i responsabili di Polizia di Stato e Vigili
del Fuoco che capiscono la situazione e decidono di accelerare la verifica
della disponibilità degli spazi e della percorribilità delle vie di
fuga. (E? soprattutto grazie a loro se la festa c?è stata e si è svolta
senza alcun rischio sotto il profilo della sicurezza: gli dobbiamo tutti
un grande grazie!). Ancora
qualche minuto di pazienza e tutti potranno entrare, annuncio, mentre la
tensione va, piano piano, alleggerendosi. Rientriamo
in teatro. Grazie anche alla collaborazione dei Clabber già in sala,
vengono individuati i posti che sembravano occupati (ma che erano ancora
liberi), sgombrati passaggi e vie di fuga e, lentamente, quanti erano
rimasti fuori cominciano ad entrare e a prendere posto in sala. Passano
pochi minuti e in cuffia qualcuno mi avverte che sono entrati tutti. Lo
dico nel microfono e, insieme al mio, esulta il cuore del popolo Clab,
che, finalmente, può lasciarsi andare ad una ovazione liberatoria. E
festa sia! Il
resto è storia che tutti conoscete: la storia di una bellissima festa. Morale. Tutto
è bene quel che finisce bene, come recita un vecchio motto. Ma,
intemperanze di pochissimi a parte, a noi dispiace sempre quando si creano
questi disagi, perché conosciamo il valore delle cose, delle vostre
persone e del vostro tempo e ci dispiace ogni volta che qualcosa intacca
questi valori. Ecco
perché ci tenevo che foste informati, il più presto possibile, sul come
sono andate effettivamente le cose. Questo
naturalmente non cancella la brutta pagina iniziale di questa storia, ma,
almeno, la spiega. Servirà
da lezione a tutti i protagonisti. Quelli
dietro, sopra, sotto e fuori dal palco, nella speranza che tutti ne
facciano tesoro per il futuro. Per
il resto, buon viaggio nella vostra vita con l?augurio che, per quanto
lunga e dura possa apparire la veglia, quando la festa arriva, vi faccia
sempre dire che ne è valsa la pena.
Un
grande abbraccio. Claudio.
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