Nuovo Quotidiano di Puglia

31.07.2004

BAGLIONI A LECCE

Alla vigilia del doppio appuntamento salentino, il cantautore si racconta
"Cerco bellezze e memoria cantandi neiluoghi feriti"

di Roberta Lomonaco

Un giocoso bimbo di 53 anni e un vecchio che diventa buffo pagliaccio nel
circo della vita: questo il Claudio di oggi e il Baglioni di domani. In
mezzo, una valigia pesante trentacinque anni di lavoro, idee, progetti,
esperimenti, successi inanellati come perle che scivolano su un filo di
seta, non senza qualche fastidioso, ma costruttivo nodo. Lo dice lui stesso,
in una giornata di fine luglio, con quella voce inconfondibile che sembra
parlare anche quando parla, che racconta pezzi di vita, esperienze profonde
ed emozioni che il suo carisma fa apparire così normali e così straordinari
allo stesso momento. E scopriamo un Baglioni catturato dalla magia, dai
profumi e dai colori del Salento.
Baglioni arriva a Lecce con un grande concerto domani 1° agosto, e una
serata evento a porte chiusse, lunedì, con uno scopo sociale e culturale ben
preciso. Andiamo con ordine, cominciamo con la tappa del tour 2004. Dal
lontano '82, da quello storico "Alè-oò", passando per "Oltre", "Assolo", "Da
me a te", "Tour Incanto", solo per citarne alcune, "Cercando 2004" è la
sedicesima tourneè.

Viene da dire "un nuovo viaggio un nuovo sogno": cosa c'è di nuovo, cosa
porti in questo viaggio e cosa vuoi lasciare a tutti quelli che ti
accompagneranno?


"E' un giro che all'inizio doveva essere un numero ristretto di concerti, ma
come si dice, l'appetito vien mangiando...Il motivo dominante è l'energia,
la ricerca della memoria e della vita, come se le due storie, passato e
futuro, fossero connesse e congiunte, una non può fare a meno ell'altra. Dal
punto di vista musicale c'è una grossa rotazione di brani, un "cercando"
proprio tra un repertorio un po' meno esibito, meno rappresentato: porto in
scena 35 anni di strada, con le canzoni che rimangono di più dentro le
orecchie degli spettatori e con buona metà di pezzi mai esibiti dal vivo. E
poi ho ritrovato un gruppo, per così dire, molto musicale".

Perchè "Cercando"? Cosa cerca Claudio Baglioni?


"Cercando due strade: i luoghi dove la bellezza, l'armonia, il paesaggio
sono stati conservati e tenuti ben in luce e l'altra, meno ortodossa, per
andare a mettere i riflettori sui siti estremamente singolari, dove sembra
che la vita si sia fermata, dove c'è una memoria individuale e civile. Poi,
per vezzo, per una mia ricerca degli ultimi tempi, il cui argomento è
diventato la mia tesi in architettura. Un Paese come il nostro ha come forse
unica ricchezza l'enorme patrimonio dei secolipassati, ma non abbiamo saputo
conservarli benissimo. Molti posti sono diventati enormi delle enormi ferite
che non producono niente da un punto di vista economico, luoghi che creano
soltanto discontinuità nel tessuto urbano".

Per questo hai scelto Piazza Palio per il concerto, per così dire,
tradizionale e il vecchio museo ferroviario per l'evento a porte chiuse?


"Un po' per voglia personale di cambiare. Poi perchè si combineranno due
aree che hanno la stessa voglia di rivalutazione. Lecce è l'unica città dove
accadrà questo. Poi c'è il fatto che è un po' tutta la mia letteratura di
vita che si lega al tema del viaggio. Io considero il treno il mezzo per
antonomasia che lega di più le persone, sul quale le persone si uniscono,
parlano, come non succede invece in aereo. Ho visto materiale fotografico
del Museo ferroviario, ci sono stati sopralluoghi. Credo che sia importante
che ci siano i musei, i posti dove si parli di noi, ma anche quelli dove si
parli "a noi", luoghi che abbiano un'attività odierna, continua, non luoghi
che finiscono per essere visitati una sola volta. Viviamo in una società che
tende a separarci, per questo dobbiamo cercare di." comunicare guardandoci
negli occhi."

Il tuo progetto si chiama "Spazi nuovi per uomini nuovi". Di quali siano
per te questi spazi nuovi hai già detto, ma chi sono gli uomini nuovi e,
soprattutto, tu sei un uomo nuovo?"


"Io sono un uomo di oggi e non sono un uomo nuovo, nè so se potrò mai
diventarlo, nel senso di poter vivere questa vita, questo mondo, con una
maggiore leggerezza, senza la sensazione di catastrofe, di un domani così
oscuro e di riqualificare la speranza  perchè sia lavoro attivo di ogni
giorno per un mondo corretto, più giusto, con una innocenza diversa".

Fresco di laurea in architettura, potremmo dire che stai inaugurando una
sorta di architettura in poesia o di architettura in musica?


"C'è chi dice che la musica sia un'architettura senza edificio. L'amo mi è
stato lanciato dal preside della Facoltà di architettura della Sapienza:
"perchè non viene a parlare agli studenti?", mi disse un po' di tempo fa.
Confesso che mi sembrava di essere un po' come Marilyn Monroe che andava a
parlare alle truppe. Dopo varie insistenze andai lì per un incontro e feci
proprio un discorso tra musica e architettura, su come la composizione non
sia poi così lontana dall'architettura, si agisce per ambienti, anche in
musica ci sono regole geometriche, matematiche. Penso che anche chi fa
musica si illude di trasferire agli altri il senso dell'armonia e della
bellezza. E in quell'occasione confessai che quella era stata la mia facoltà
e mi trovai ad annunciare che mi sarei iscritto di nuovo".

Che rapporto hai con il Salento?


"A Lecce ho fatto la mia esperienza più singolare. Quello che doveva essere
un numero unico è diventato una tourneè che è durata poi 40 date, da solo,
con gli strumenti che si abbinavano con la tecnologia. Mi trovo bene ovunque
vado, in Italia e nel resto del mondo, ma c'è un rapporto di profum e di
colori che mi rende misteriosa ed estremamente amichevole la penisola
salentina, non so se perchè è un posto che ha un'attitudine innata a
ricevere. C'è qualcosa di magico che è difficile spiegare a parole, è un
posto che ti fa star bene, in cui ti ci trovi".

Che cosa si prova a pensare che le proprie parole, la propria musica hanno
attraversato, cambiato, influenzato la vita di migliaia di persone? E' un
potere che riempie di soddisfazione o che fa un po' paura?


"Mi piace saperlo, tutti tendiamo verso l'eternità, qualsiasi uomo soffre il
fatto di essere limitato. Mi piace l'idea di essere stato per qualche
istante della vita di qualcun altro influente, ma non per questo voglio
essere un maestro di pensiero. La mia è un'opera di interrogazione, nessuno
sta lì a seminare verità. Avverto soprattutto la responsabilità quando è
troppo forte il peso della fiducia. Ringrazio, sapendo di essere stata una
persona che ha a vuto qualche privilegio".

Cosa senti o vedi realmente affacciato all'enorme "finestra del pubblico"
che è un concerto?


"Il brivido del come andrà a finire, quella che chiamiamo emozione. Ma è più
un senso di vertigine, come affacciarsi a una finestra che però sta molto in
alto. Questo accade specialmente con tourneè un po' più strane. Cerchi di
annusare che aria tira e subito dopo approfitti per gettare tutto
l'ossigeno, prendere quell'energia che arriva dal pubblico e arriva
l'esaltazione, la felicità. Sì, sono sicuro che molte delle volte che salgo
sul palco vivo momenti di autentica felicità".

Esattamente un anno fa il premio Lunezia 2003 al Valor letterario per i
testi di "Sono io- L'uomo della storia accanto" e un premio alla carriera
come miglior autore. Qual è il tuo rapporto con i premi alla carriera?


"I premi alla carriera sono una specie di de profundi intellettuali. I premi
li prendi se te li vai a cercare e io ne ho preso uno sui venti che avrei
potuto. Certo, essere premiati fa piacere, però il premio in fondo già c'è,
è insito nelle cose che fai"

Parliamo di questo successo che, a tutti i livelli, continua a seguirti.


"Sono stati più i successi degi insuccessi o dei minori successi, che pure
ci sono stati e che pure servono. Il successo vero lo si ha una volta: il
cambio da persona comune a persona conosciuta".

Che per te è stato....


"Quando praticamente, dopo vari tentativi, nel '72, stavo smettendo. Avevo
fatto un disco, lo avevo consegnato alla casa discografica per puro dovere.
Questo disc  uscì e in due settimane arrivò prim in classifica: era "Questo
piccolo grande amore". Fu una specie di stordimento: camminavo, vedevo una
finestra e pensavo: "lì c'è qualcuno che mi conosce ma che io non conosco".
E' una sensazione strana. Il successo è riuscire a fare le cose come volevi,
riuscire ad avere la passione per questo mestiere, andare a rifinire
quell'ultima cosa che per altri è marginale".

Come sarà il Claudio Baglioni di domani?


"A saperlo. Meno male che non lo so, sarebbe come vedere due volte lo stesso
film. Vorrei riacquistare una certa ingenuuità, che col tempo si logora ed è
messa a dura prova. Mi piacerebbe essere buffo, mi piacerebbe passare la
parte della vita che ho davanti come secondo me dovrebbero fare tutti i
vecchi, divertendosi a prendere in giro il mondo e se stessi. Diventare un
po' pagliacci di un circo".