"Amore... ma non lo so dire"

di CLAUDIO BAGLIONI

"Ma non lo so dire...". Già. Era così allora. E' mi accorgo che, malgrado questi lunghi anni di note e parole, è così anche oggi. Ma non credo sia un limite dell'artista. Credo che il limite sia nell'uomo. In ogni uomo. Non contano né l'abilità di cucire insieme testi e musiche che sappiano scendere più o meno in profondità -arte o mestiere che sia- né la platea -sconfinata, modesta o di un unico interlocutore- che abbiamo di fronte.
Conta la categoria con cui ci si confronta, nella solitudine, nella coppia, in famiglia, con gli amici, nella folla. Perché il valore in campo è così alto, che racchiuderlo nella camicia di forza delle parole è quasi impossibile. L'arte -e, quindi, anche la musica- aiuta, ma non risolve.
Si mette tra noi ed il senso ultimo delle cose e concorre a illuminare la strada, ma sta a noi assumere la fatica e i rischi del viaggio. E il percorso dall'anima (dove amore prende forma e noi acquisiamo coscienza di lui), alla mente (dove il pensiero ne elabora l'essenza), alla parola (dove la definizione prende voce) è un percorso, inevitabilmente, imperfetto.
Ad ogni passaggio, infatti, ci allontaniamo dal "cuore" del problema e perdiamo qualcosa nella capacità di coglierne valore, senso e missione. La parola è tutto quello che abbiamo (probabilmente l'invenzione più grande dell'uomo), ma le "grandi" questioni -la vita, la morte, il dolore, l'amore appunto- rivelano tutti i limiti di questa straordinaria invenzione. Forse è per questo che ci spaventa parlare d'amore.
C'è disagio, paura, inadeguatezza, pudore. Probabilmente è la parola più usata. Sicuramente la più abusata. Poche altre, infatti, patiscono così tanto l'erosione dell'inflazione. Dire "ti amo" quando non è così è un delitto. Un delitto inferiore solo a quello che commettiamo quando -pur sentendo di amare- non lo diciamo. Come ogni parola, anche l'amore può essere tutto o nulla. Non dipende da lui.
Dipende da noi. Dalla nostra capacità (o incapacità) di mantenere ciò che quella parola promette. In questo senso, l'uomo (l'umanità, nel suo grande viaggio collettivo, ma anche ciascuno di noi, nel corso del proprio piccolo viaggio personale) procede per tentativi. Per approssimazioni successive. Si avvicina. A volte gli sembra di essere a un passo e, invece, si accorge che manca ancora qualcosa. Manca sempre qualcosa. La distanza si riduce ogni volta un po', ma non si annulla mai del tutto. Probabilmente perché mentre, dentro di sé, l'uomo ha coscienza dell'infinito, tutto, intorno a lui, è finito.
Un conflitto che non abbiamo modo di sanare. Ha, è vero, il grande merito di farci tendere a quell'infinito, ma è anche responsabile della sofferenza che ci deriva dal non riuscire mai a vedere pienamente soddisfatta questa sete. Così, anche nell'amore. Forse per questo lo cerchiamo sempre senza fine e senza macchia, nella coppia, tra genitori-figli, nell'amicizia (secondo alcuni la forma d'amore più alta), nell'amore per gli altri e per la vita.
E, quando finisce o rivela certe impurità, c'è la prendiamo con lui. Errore di prospettiva: confondiamo cause ed effetti. Se non siamo noi il suo strumento, ma pretendiamo che lui diventi il nostro, non possiamo, poi, scaricare su di lui la responsabilità per errori che sono nostri, non suoi. Non è l'amore che delude l'uomo, ma l'uomo che delude lui. Anche perché, mentre lui è sempre all'altezza del suo mandato, la stessa cosa, purtroppo, non si può dire di noi. Non sappiamo da dove arrivi (né, a dire il vero, ce lo chiediamo mai), ma, quando si perde, ci affanniamo a domandarci dove finisca e, soprattutto, perché.
Un perché introvabile, ancora di più di quello del suo apparire. E il vuoto che lascia è sempre più grande di quello che aveva colmato, arrivando. E rimaniamo così, come se non ci restasse altro che accettare l'incomprensibile inevitabilità del suo dissolversi. Mistero, dunque. Mistero trovarlo, mistero viverlo, mistero perderlo. Per questo... "non lo so dire". Ma è certamente l'energia più grande che l'uomo sia in grado di produrre.
L'unica che riesca a fargli fare cose delle quali non si immaginerebbe mai capace. Il miracolo che rende l'uomo capace di miracoli. E, forse, se trovassimo il coraggio di non confinarlo all'atto che origina la vita, se non lo tradissimo, facendone merce di scambio sui mille tavoli della vita, se riuscissimo a guardarlo negli occhi e ad ascoltare quello che ha da dire, e ci decidessimo ad adottarlo come bussola e sestante per la nostra navigazione, ci accorgeremmo che la risposta a molte delle piccole-grandi domande che ci piovono addosso e dalle quali, spesso, ci sentiamo perseguitati, è più vicina di quanto immaginiamo. Come diceva un grande musicista: "Love is the answer". E, spesso, la differenza tra pensarsi, dirsi o essere davvero degni dell'appellativo "uomo" è tutta lì.