ROMA 4 Novembre 2004. 

Baglioni: “Sul gazometro niente fatti, solo promesse”“Aspetto ancora che il Comune dia una risposta al mio progetto” di Anna Maria Greco


Claudio Baglioni freme dal desiderio di mettere in pratica ciò che ha imparato. E vuole farlo per migliorare la “sua” Roma. Soprattutto la zona del Gazometro. Che secondo lui potrebbe essere importante per risolvere il problema del traffico. Ora
però servirebbe una chiamata del Comune. E’ architetto solo da luglio, il famoso cantante si è laureato alla “Sapienza”, riprendendo gli studi dopo una lunga interruzione in cui si è dedicato con il successo che tutti sappiamo all’altra
sua grande passione, la musica. Tra un concerto e l’altro, la sua idea fissa è rimasta quella di completare quel cammino universitario bloccatosi nel ’72, mentre incideva la sua canzone più famosa “Questo piccolo grande amore”. Stavolta, è arrivato fino in fondo e la tesi l’ha dedicata ad un progetto di riqualificazione dell’area del Gazometro per trasformarla in una nuova piazza della capitale, un polo vitale in grado anche di alleggerire la pressione sul centro storico. Una scelta che
ha suscitato interesse.. Tanto che all’inizio dell’estate diverse istituzioni a anche esperti del settore hanno preso contatto con lui per approfondire la questione. Ora Baglioni è appena tornato nella Capitale, dopo un’estate in giro per l’Italia con un tour di concerti in 25 tappe che si intitolava “Cercando” e che ha preso il via proprio dal Gazometro per poi muoversi nella
penisola alla ricerca di altre aree dimesse da riqualificare, dall’Arsenale di Venezia al Gazometro di Palermo, dalle stazioni ferroviarie chiuse alle fabbriche ormai abbandonate. E lancia un appello, dichiara la sua disponibilità, perché il suo
progetto non rimanga sulla carta.

D: Crede che la sua tesi potrà davvero dare la scossa alla pubblica amministrazione per avviare un lavoro serio per la riqualificazione dell’area del Gazometro?
R: Io sono qua, con le mie carte, e aspetto. Quello che ho fatto con la mia tesi è uno studio serio, che mi ha dato soddisfazione e mi piacerebbe che venisse  preso in considerazione. A luglio, quando mi sono laureato ed ho iniziato il mio tour proprio da lì, c’è stato un grande fermento attorno all’idea di trasformare l’area del Gazometro. Il sindaco di Roma, Walter Veltroni, che conosco da tempo, ha mostrato interesse per le mie proposte e mi ha fatto capire che forse il Comune
intendeva muoversi. Ma non è stato il solo: sono stato contattato anche dalla Regione Lazio e da gruppi di urbanisti che volevano saperne di più.

D: Insomma, questa tesi potrebbe vincere l’immobilismo romano delle opere pubbliche?

R: So che questi sono i privilegi della notorietà e che per certe cose ci vuole la volontà politica, ma ci vogliono anche i capitali. Però, se ne venisse fuori qualcosa di buono, se potessi partecipare ad un gruppo di lavoro, sarei contento. La mia esperienza non solo degli studi recenti di architettura ma anche di 35-40 anni di lavoro in mezzo alle persone per capire le esigenze della loro vita quotidiana, potrebbe essere utile . E io sono a disposizione della mia città..

D: Perché ha scelto di concentrare la sua attenzione sul Gazometro, l’opera più alta di Roma dopo la Cupola di san Pietro?
R: Mi affascinava già dall’infanzia. Io sono nato a Montesacro e vissuto a Centocelle. Quando andavo al mare ad Ostia, da piccolo, mio padre mi raccontava che in quel cilindro magico il gas era tenuto prigioniero. Adesso lo vedo come il centro di
una grande area di posizione strategica, tra gli ex Mercati generali, il Mattatoio, il Foro Boario, in un posto decisivo per la città. Roma è troppo centralizzata, lo era ieri e lo è oggi. Ricordo quando il sabato dalla periferia, dalle borgate,
ci si riversava tutti in  centro, come barbari alla conquista della capitale. Adesso questo flusso eccessivo continua, anche perché la città non offre alternative. Roma ha bisogno di nuove piazze per incontrarsi, che contrastino le piazze medianiche come la televisione che ci assorbono troppo. E lo spazio del gazometro merita di diventare una di queste piazze. Credo che sarebbe utile anche per la viabilità, per alleggerire il traffico che confluisce verso il centro di Roma, creando una ssiva.

D: Che cosa pensa che si debba e si possa fare per trasformare la capitale?
R: Sono convinto che Roma abbia bisogno di un nuovo Rinascimento, di interventi architettonici per ritrovare i suoi spazi e riscoprire la bellezza. Oppressa dalle vestigia del passato, non è certo ai primi posti per novità nel campo dell’architettura e dell’urbanistica perché negli ultimi 50 anni è stato fatto ben poco. Non parlo tanto delle grandi opere degli scienziati architetti, che certo danno prestigio e fanno sognare, ma piuttosto degli interventi che servono a far vivere meglio le persone e ad educarle ad una maggiore armonia. Sono convinto che chi nasce in un posto brutto ha maggiori possibilità di avere una vita brutta e di diventare una persona brutta. Tutti abbiamo bisogno di cose che ci parlino, di un’architettura viva. Ecco perché mi interesso delle tante aree dimesse che possono essere trasformate, nella capitale come nel resto d’Italia. Sono interventi che non costerebbero molto e che potrebbero essere utili alla vita di tutti i giorni”.