Lavorare con Al Bano è un’esperienza elettrizzante. Anche quando è a casa a Cellino, dove in teoria dovrebbe riposare, è braccato da mille impegni. E, come racconta Roberto Allegri in questo articolo, per scrivere l’ultimo libro “Con la musica nel cuore”, doveva rincorrerlo nei luoghi più strani.

 

I RIFUGI SEGRETI DI AL BANO

 

Di Roberto Allegri - Foto Editoriale Gli Olmi

 

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Albano parcheggia a pochi metri dall’acqua. Proprio dove inizia la rampa che scende adagio verso l’Adriatico e serve per trainare in secca le barche dei pescatori. Sono le otto del mattino. E’ ottobre inoltrato ma a Torre San Gennaro, a una decina di chilometri da Brindisi, niente mi parla dell’autunno. Il sole ha la stessa espressione decisa che aveva in estate, quasi la stessa rabbia nel gettare fuoco sul Salento. Si riflette sul mare e punteggia di scaglie dorate la distesa ondeggiante che abbiamo di fronte. Ci sono quattro barche a riva. Pescherecci di media portata, adagiati sulle traversine e ancorati all’argano che li ha tirati all’asciutto. E ci sono pescatori al lavoro.

 

Albano li chiama per nome e loro rispondono sorridenti. E quindi prende corpo la musica del dialetto di cui comprendo poco ma che mi sembra una canzone. <<Li conosco da una vita>>, mi dice Albano. <<E’ come se fossero la mia famiglia.>>

 

Per lavorare con Albano alla stesura del libro “Con la musica nel cuore” ho dovuto fuggire con lui e nasconderci. Perché il nemico numero uno di Albano è la mancanza di tempo.

 

Impegni su impegni, telefonate, interviste, servizi fotografici, appuntamenti, scadenze, viaggi, prove, concerti, pubbliche relazioni, riunioni, presenze in televisione: lo inseguono e lo braccano come segugi affamati. Lui è soddisfatto, è il suo mestiere e la sua vita. Ma se desidera estraniarsi per qualche ora e dedicarsi a qualcosa che esula dalla sua routine – come lavorare ad un libro sulla storia delle sue canzoni – è costretto a scappare e a nascondersi per riuscirci. Ed è proprio quello che lui ed io abbiamo fatto spesso nei mesi in cui ci siamo dedicati al nostro secondo libro insieme.

 

<<Robbè, qui non si riesce a lavorare. Andiamocene!>> era la parola d’ordine di Albano. Io allora lo seguivo con la mia borsa carica di fogli e quaderni, e scoprivo di volta in volta i suoi rifugi segreti.

 

Più volte ci siamo sistemati nella mansarda della sua grande casa, nella zona più alta, proprio sotto la torretta dalla quale si può vedere tutta la sua tenuta. Un vasto appartamento con librerie, una comoda scrivania, una camera da letto dall’arredamento indiano, un bagno interamente rivestito di pietra. E una parete dove sono raccolti in ordine tutti i suoi dischi. Un’intera carriera, e una vita, sistemata sugli scaffali. Lì, i ricordi necessari per le pagine di un libro sono a portata di mano, sono concreti, si possono toccare. Ci sono i dischi, gli album di fotografie, i ritagli di giornali. Alcuni capitoli “tecnici”, inerenti agli anni del grande successo internazionale, li abbiamo scritti in quelle stanze, sorseggiando vino fino all’ora di cena.

 

Un pomeriggio invece, Albano mi ha portato sulla “collina delle mimose”, nel folto e immenso bosco che fa parte della sua azienda. A pochi passi da una cascata, Albano ha fatto costruire una sorta di piccolo promontorio alla cui cima si accede con una scalinata di pietra. Ai lati della rampa, cespugli di mimose e salvia e menta. Sulla sommità della collinetta, una piccola terrazza con un’edicola votiva sormontata da una croce. <<Qui metterò la statua di San Marco>>, mi ha spiegato Albano.

 

E’ un posto di pace assoluta. Da lassù si vede l’intero bosco, una sorta di mare verde scuro le cui onde sono le fronde degli alberi agitate dal vento. Lo stesso vento che attutisce i suoni e dà l’impressione di essere lontani da tutto. E seduti ai piedi dell’edicola, abbiamo lavorato tranquilli, godendoci il sole che un metro alla volta rotolava ad occidente dietro la schiena delle piante. E’ stato il luogo più adatto dove trattare i capitoli che riguardano il rapporto con la natura e quello con Dio. Immerso nei colori del bosco, nei suoni senza tempo dei tronchi che scricchiolano e degli uccelli che si indicano a vicenda le meraviglie del Creato, Albano ha mostrato il suo lato “originario”, “sciamanico”, “selvatico”. Il suo è uno spirito di natura, dentro di sé conserva intatti i ritmi della terra, un tamburo che batte instancabile. Se può toccare la corteccia degli alberi e annusare il sentore di polvere e muschio dei sentieri nel folto, Albano diventa cristallino e gli si può leggere attraverso.

 

In un’altra occasione, per essere sicuri di non venire interrotti, Albano mi ha portato in macchina in un uliveto ad una mezz’ora di strada da casa. Un posto d’incanto. Un vero e proprio bosco di ulivi che si apre come una finestra sul mare Ionio. <<Ti va bene se ci sediamo qui?>>, mi ha chiesto, indicando due pietre proprio di fronte a quella vista mozzafiato. E abbiamo passato il pomeriggio così, a scrivere e correggere alcuni dei capitoli più importanti, come quello che riguarda il futuro, avvolti dal profumo del mare, dall’abbraccio del sole e dalla presenza saggia ed orgogliosa degli ulivi centenari.

 

E oggi, siamo invece tra i pescatori. Sono rientrati da poco, ora lavorano lesti immersi fino alla vita nelle reti. Con gesti abili e precisi tolgono i pesci dalle maglie e impilano la rete di lato. Sul ponte dell’imbarcazione, ceste colme di ghiaccio ricevono, di volta in volta, i diversi tipi di pesce. E le operazioni non sfuggono agli occhi attenti di un gruppo di gatti, seduti in ordine come scolaretti, in attesa che qualcosa venga loro gettato. E deve capitare spesso perché sono mici paffuti e col pelo lucido.

 

Io e Albano abbiamo scritto sul porticciolo di San Gennaro gli ultimi capitoli di “Con la musica nel cuore”. Seduti al sole, con la salsedine che ci colmava il respiro. E come sottofondo il cantare antico degli uomini del mare. <<Mi affascina da quando ero bambino>>, mi ha spiegato. <<La prima volta che lo vidi avevo cinque anni, mi ci portò mio padre……..>>

 

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