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Albano parcheggia a pochi metri dall’acqua. Proprio dove inizia la
rampa che scende adagio verso l’Adriatico e serve per trainare in
secca le barche dei pescatori. Sono le otto del mattino. E’ ottobre
inoltrato ma a Torre San Gennaro, a una decina di chilometri da
Brindisi, niente mi parla dell’autunno. Il sole ha la stessa
espressione decisa che aveva in estate, quasi la stessa rabbia nel
gettare fuoco sul Salento. Si riflette sul mare e punteggia di
scaglie dorate la distesa ondeggiante che abbiamo di fronte. Ci sono
quattro barche a riva. Pescherecci di media portata, adagiati sulle
traversine e ancorati all’argano che li ha tirati all’asciutto. E ci
sono pescatori al lavoro.
Albano li chiama per nome e loro rispondono sorridenti. E quindi
prende corpo la musica del dialetto di cui comprendo poco ma che mi
sembra una canzone. <<Li conosco da una vita>>, mi dice Albano. <<E’
come se fossero la mia famiglia.>>
Per lavorare con Albano alla stesura del libro “Con la musica nel
cuore” ho dovuto fuggire con lui e nasconderci. Perché il nemico
numero uno di Albano è la mancanza di tempo.
Impegni
su impegni, telefonate, interviste, servizi fotografici,
appuntamenti, scadenze, viaggi, prove, concerti, pubbliche
relazioni, riunioni, presenze in televisione: lo inseguono e lo
braccano come segugi affamati. Lui è soddisfatto, è il suo mestiere
e la sua vita. Ma se desidera estraniarsi per qualche ora e
dedicarsi a qualcosa che esula dalla sua routine – come lavorare ad
un libro sulla storia delle sue canzoni – è costretto a scappare e a
nascondersi per riuscirci. Ed è proprio quello che lui ed io abbiamo
fatto spesso nei mesi in cui ci siamo dedicati al nostro secondo
libro insieme.
<<Robbè, qui non si riesce a lavorare. Andiamocene!>> era la parola
d’ordine di Albano. Io allora lo seguivo con la mia borsa carica di
fogli e quaderni, e scoprivo di volta in volta i suoi rifugi
segreti.
Più volte ci siamo sistemati nella mansarda della sua grande casa,
nella zona più alta, proprio sotto la torretta dalla quale si può
vedere tutta la sua tenuta. Un vasto appartamento con librerie, una
comoda scrivania, una camera da letto dall’arredamento indiano, un
bagno interamente rivestito di pietra. E una parete dove sono
raccolti in ordine tutti i suoi dischi. Un’intera carriera, e una
vita, sistemata sugli scaffali. Lì, i ricordi necessari per le
pagine di un libro sono a portata di mano, sono concreti, si possono
toccare. Ci sono i dischi, gli album di fotografie, i ritagli di
giornali. Alcuni capitoli “tecnici”, inerenti agli anni del grande
successo internazionale, li abbiamo scritti in quelle stanze,
sorseggiando vino fino all’ora di cena.
Un
pomeriggio invece, Albano mi ha portato sulla “collina delle
mimose”, nel folto e immenso bosco che fa parte della sua azienda. A
pochi passi da una cascata, Albano ha fatto costruire una sorta di
piccolo promontorio alla cui cima si accede con una scalinata di
pietra. Ai lati della rampa, cespugli di mimose e salvia e menta.
Sulla sommità della collinetta, una piccola terrazza con un’edicola
votiva sormontata da una croce. <<Qui metterò la statua di San
Marco>>, mi ha spiegato Albano.
E’ un posto di pace assoluta. Da lassù si vede l’intero bosco, una
sorta di mare verde scuro le cui onde sono le fronde degli alberi
agitate dal vento. Lo stesso vento che attutisce i suoni e dà
l’impressione di essere lontani da tutto. E seduti ai piedi
dell’edicola, abbiamo lavorato tranquilli, godendoci il sole che un
metro alla volta rotolava ad occidente dietro la schiena delle
piante. E’ stato il luogo più adatto dove trattare i capitoli che
riguardano il rapporto con la natura e quello con Dio. Immerso nei
colori del bosco, nei suoni senza tempo dei tronchi che
scricchiolano e degli uccelli che si indicano a vicenda le
meraviglie del Creato, Albano ha mostrato il suo lato “originario”,
“sciamanico”, “selvatico”. Il suo è uno spirito di natura, dentro di
sé conserva intatti i ritmi della terra, un tamburo che batte
instancabile. Se può toccare la corteccia degli alberi e annusare il
sentore di polvere e muschio dei sentieri nel folto, Albano diventa
cristallino e gli si può leggere attraverso.
In un’altra occasione, per essere sicuri di non venire interrotti,
Albano mi ha portato in macchina in un uliveto ad una mezz’ora di
strada da casa. Un posto d’incanto. Un vero e proprio bosco di ulivi
che si apre come una finestra sul mare Ionio. <<Ti va bene se ci
sediamo qui?>>, mi ha chiesto, indicando due pietre proprio di
fronte a quella vista mozzafiato. E abbiamo passato il pomeriggio
così, a scrivere e correggere alcuni dei capitoli più importanti,
come quello che riguarda il futuro, avvolti dal profumo del mare,
dall’abbraccio del sole e dalla presenza saggia ed orgogliosa degli
ulivi centenari.
E
oggi, siamo invece tra i pescatori. Sono rientrati da poco, ora
lavorano lesti immersi fino alla vita nelle reti. Con gesti abili e
precisi tolgono i pesci dalle maglie e impilano la rete di lato. Sul
ponte dell’imbarcazione, ceste colme di ghiaccio ricevono, di volta
in volta, i diversi tipi di pesce. E le operazioni non sfuggono agli
occhi attenti di un gruppo di gatti, seduti in ordine come
scolaretti, in attesa che qualcosa venga loro gettato. E deve
capitare spesso perché sono mici paffuti e col pelo lucido.
Io e Albano abbiamo scritto sul porticciolo di San Gennaro gli
ultimi capitoli di “Con la musica nel cuore”. Seduti al sole, con la
salsedine che ci colmava il respiro. E come sottofondo il cantare
antico degli uomini del mare. <<Mi affascina da quando ero
bambino>>, mi ha spiegato. <<La prima volta che lo vidi avevo cinque
anni, mi ci portò mio padre……..>>