
Brevi riflessioni dopo il furto della celebre iscrizione "Arbeit
macht frei" (Il lavoro rende liberi), posto all'ingresso dell'ex
campo di sterminio nazista di Auschwitz, in Polonia, dove morirono
un milione di perone.
LA SCINTILLA CHE SALVA
SI CHIAMA ANCORA AMORE
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DI Sabrina
Panfili
Agli uomini è donata la memoria per custodire
il pegno della fede. Altrimenti la speranza avrebbe il suono sordo
degli sprofondamenti solitari di un vecchio pagano, che dimentica di
sollevare il cuore, che non sa ricordare.
La
vita di Etty Hillesum, Primo Levi, Edith Stein e di tante altre
persone morte in un campo di sterminio, si offre alla memoria come
inesauribile desiderio di forma, nella certezza che il suo
significato sia custodito all'ombra di una promessa. E la storia,
che di tale promessa porta la scrittura, dona agli eventi un'unità
significativa interpretabile solo dai posteri, nel tempo futuro
della sua narrazione.
In quanto lettori, il nostro rapporto con
queste vittime, è innanzitutto un rapporto con il passato. La
risposta alla sofferenza e al male, di cui sono state testimoni,
sale dentro di noi, facendo strada alla liberazione e alla gioia
interiore che possono venire dal passato. Il futuro dovrebbe
prendere un'altra estensione, distinguendosi da un futuro
prevedibile, carico di minacce, paure e angosce. Ciò dovrebbe
comportare una trasformazione di sé e delle relazioni sociali che si
vivono. Il futuro è un'esperienza di intensificazione del presente
ed è proprio nell'intensificazione della vita presente, che si
mostra di possedere un avvenire assoluto. Futuro che mette in
evidenza la particolarità del dramma di Auschwitz.
Che significa "pensare" dopo Auschwitz, è una
domanda alla quale il pensiero occidentale ed europeo non ha dato o
voluto dare una risposta. Auschwitz, come altri campi della morte,
sono tormenti con i quali lo spirito deve fare i conti, e che invece
l'Occidente ha rimosso. Il silenzio ha sicuramente contribuito a
questa rimozione, ma l'indifferenza, il disinteresse per l'umanità,
è un elemento importante che caratterizza il pensiero occidentale
contemporaneo.
Un passo importante dopo Auschwtiz è quello di ricominciare daccapo,
un ricercare il senso della vita continuamente. Dopo questo dramma,
si può ancora vivere, si può ancora pensare che la morte non entri
nella quotidianità dell'uomo.
Ma
tutto questo, perde di significato quando la mattina del 18 dicembre
2009, in Polonia ci si accorge di un furto. La scritta posta sopra
il cancello di ingresso di Auschwitz: "Arbeit macht frei", non c'è
più. I responsabili del furto sono stati arrestati il 21 dicembre,
ritrovando quella scritta, divisa in tre parti.
L'idea di porre questa scritta sembra sia dovuta al maggiore Rudolf
Höß, primo comandante del campo di sterminio; frase che costituiva
il titolo di un romanzo del 1872 dello scrittore tedesco Lorenz
Diefenbach.
"Il lavoro rende liberi". Primo Levi capì
subito che in quel punto:"Tutto è una grande macchina per ridere di
noi, per vilipenderci, è poi è chiaro che ci uccidono, chi crede di
vivere è un pazzo, vuol dire che ci è cascato...".
Non può esistere libertà senza identità e
questo i nazisti lo sapevano bene. La libertà non poteva non
risentire della finitezza di quella esistenza che rendeva
contraddittoria e drammatica ogni scelta individuale, se mai ce
n'era la possibilità.
Karl Jaspers parlava di "lo scacco
dell'esistenza", ossia la libertà non è un mezzo per l'esistenza ma
coincide con l'esistenza stessa. "Io sono quando scelgo e, se non
sono, non scelgo".
In filosofia, l'identità è qualsiasi cosa che rende un'entità
definibile e riconoscibile. 174517 questo era uno dei tanti nuovi
nomi di Auschwitz. Un battesimo rapido e pungente, tatuato
indelebilmente sul braccio. Senza il numero non eri nessuno. Dietro
ogni numero, una storia, una vita, un essere umano. E' nel dolore
che si deve trovare la voce più autorevole per dire chi siamo. Vuol
dire che c'è una parte di bene che è alienabile. Si può giocare la
propria vita coltivando delle cose che nessuno ti può portare via,
in nessuna condizione.
Importante
è tenere viva la scintilla che si può chiamare Amore, esteso nei
suoi significati. Amore che non è solo filantropia, ma anche
intelligenza e pensiero.
Concludo, augurandovi per questo Natale, ciò
che scrisse Etty Hillesum in un passo del suo Diario, il 19 febbraio
1942:
"Il marciume che c'è negli altri c'è anche in
noi, continuavo a predicare; e non vedo nessun'altra soluzione,
veramente non ne vedo nessun'altra, che quella di raccoglierci in
noi stessi e di strappar via il nostro marciume. Non credo più che
si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza aver prima
fatto la nostra parte dentro di noi. E' l'unica lezione di questa
guerra: dobbiamo cercare in noi stessi, non altrove...".
Sabrina Panfili