
Curiosando nell'ignoto
- Reportage dei fratelli Roberto e Nicola Allegri
Molte vicende della vita
non hanno spiegazioni razionali, ma noi stiamo con il grande
psicanalista Carl Jung che affermava: “Non commetterò il tipico
errore di considerare una frode tutto ciò che non sono in grado di
spiegare” – Incontriamo lo scrittore Ruggero Marino, studioso delle
vicende storiche riguardanti Cristoforo Colombo, che presenta una
sua originale tesi sulla personalità del grande navigatore
CRISTOFORO COLOMBO ERA UN SANTO?
di Roberto
- Foto di Nicola Allegri
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Stiamo attraversando l’Italia ad oltre 350
chilometri l’ora. A bordo del “Freccia Rossa”, io e Nicola viaggiamo
sui binari alla volta di Roma cercando di impiegare al meglio le tre
ore del tragitto. Nicola si è addormentato che il treno non aveva
ancora lasciato la cupola della Stazione Centrale di Milano. Il suo
è un sonno che rasenta il coma, il respiro pesante e la testa
piegata in maniera innaturale contro il vetro del finestrino: si
sveglierà con un torcicollo da urlo. Io faccio correre gli occhi dal
libro di Jack London che sto leggendo al panorama che sfila là
fuori.
E’ una bella giornata di sole e adesso stiamo
attraversando una zona collinare, verde in modo intenso nonostante
la stagione e costellata di greggi. Mi scappa un pensiero fugace e
vorrei essere in mezzo a quel pascolo, a vegliare le pecore
indolenti, fumando un mezzo toscano, lontano da tutto e da tutti. E’
solo un istante e ritorno alla realtà.
Sonno o meno, letture o panorama, stiamo
andando a Roma per incontrare un amico scrittore che ha fatto
eccitanti scoperte e le ha inserite in un libro dal titolo
altisonante: “L’uomo che superò i confini del mondo”. Il
protagonista è Cristoforo Colombo.
Quella di Colombo è una figura che evoca subito
immagini viste nei film o nei quadri. Nei quadri soprattutto, per
quanto mi riguarda. E’ ricordo di infanzia: nel corridoio della casa
dei miei nonni stavano appesa diverse stampe d’epoca che
raffiguravano Colombo nelle varie tappe salienti della sua vita.
Colombo alla corte del re del Spagna, poi a bordo delle navi,
durante lo sbarco nelle Americhe e di nuovo alla presenza del re.
Nell’immaginario
collettivo, il grande navigatore genovese è in piedi sul castello di
prua della sua nave, lo sguardo in avanti, il vento che gli
scolpisce il viso. In mano tiene alcune mappe arrotolate e là, di
fronte a lui, la costa del Nuovo Mondo lo sta aspettando. Su Colombo
però non è stato detto tutto e anzi quello che si conosce può anche
non essere completamente esatto.
A seminare questi dubbi, ma anche a svelare
delle verità sorprendenti, si dedica da vent’anni Ruggero Marino,
veterano della carta stampata e scrittore, che viene appunto
considerato uno dei più importanti studiosi di Colombo tanto che i
suoi libri e le sue tesi destano interesse in tutto il mondo.
Persino il prestigioso Times gli ha riservato ampi elogi.
Io e Nicola stiamo andando a trovarlo perché
quello che mi ha raccontato al telefono ha colpito la mia curiosità.
<<Sai che risulta ancora aperta la causa di beatificazione di
Cristoforo Colombo?>>, mi ha detto Marino. <<Proprio così. Sia Papa
Pio IX che Papa Leone XIII volevano che Colombo fosse fatto santo. E
una grande quantità di documenti attesta non solo che Colombo era
una sorta di mistico, un missionario che si dedicava ai poveri e
agli ammalati, ma anche che era in grado di compiere prodigi. La sua
causa di canonizzazione però non ha mai progredito, ha sempre
incontrato ostacoli e impedimenti e tutt’ora è ferma. Il perché
però, rimane un mistero>>.
E noi, che alla parola “mistero” scattiamo
sempre prontamente con macchine fotografiche in spalla e tanta
voglia di sapere, siamo partiti.
Roma è bellissima. In qualsiasi stagione, sembra sempre che sia
primavera. Non so spiegarmi il perché, ma anche sotto la pioggia,
anche con il freddo dell’inverno, le sue strade hanno il profumo di
aprile. Forse sono fantasie personali, non lo metto in dubbio.
Oppure è dovuto al fatto che mi sono lasciato alle spalle una Milano
tetra e fumosa, sepolta sotto un cielo plumbeo che pareva dovesse
cadere addosso alla gente da un momento all’altro.
Il
tragitto in taxi è una continua sorpresa. Ad ogni incrocio guardo le
strade a destra e a sinistra, e sul fondo, immancabile, scorgo una
chiesa. E poi la piazza con l’Altare della Patria propone un
fortissimo senso di riverenza. Ti ci trovi dentro all’improvviso ed
è come quando parte l’ouverture di un’opera di Verdi. Ci infiliamo
tra le strette vie di Trasterevere, rasentando con il taxi le
trattorie e i bar con i tavolini all’aperto, come a Parigi. La
nostra meta è proprio da queste parti, la prestigiosissima Accademia
Nazionale dei Lincei. Ruggero Marino ci aspetta lì.
L’Accademia Nazionale dei Lincei di Roma
è una delle più antiche accademie italiane, fondata nel 1603. Si
trova a Palazzo Corsini della Lungara. Entrarvi significa
passeggiare nella storia. I più grandi scienziati italiani ne hanno
fatto parte, a partire da Galileo. E’ un’istituzione di massimo
prestigio, un vero tempio della cultura. Ruggero Marino ci ha
chiesto di raggiungerlo all’Accademia perché lì viene conservato un
libretto che vuole mostrarci.
<<Cristoforo Colombo non era certo il semplice
marinaio che la storia ci ha tramandato>>, ci spiega Marino mentre
ci accompagna nella biblioteca detta “corsiniana”, cioè che contiene
i volumi che Tommaso Corsini donò all’Accademia nel 1883. <<Colombo
era invece molto di più. Basti pensare che si fece ricevere alla
corte del re del Portogallo, sposò una nobile parente del sovrano,
poi si recò dai reali spagnoli chiedendo loro e ottenendo delle navi
per andare nel Nuovo Mondo. Quindi, si confrontò con i grandi
scienziati dell’epoca. Insomma, tutto questo è un po’ troppo per un
marinaio qualsiasi. Ma ecco quello che volevo farvi vedere.>>
Siamo in una grande sala con alte librerie di
legno lucidissimo. Un addetto alla biblioteca ci aspetta in silenzio
vicino ad un tavolo dove è posato un piccolo libro rilegato in
pelle. <<Un libro delle ore, una sorta di breviario>>, dice Marino,
<<che pare sia appartenuto a Colombo. Non vi è la certezza ma vi si
trova la sua firma. Ecco qui, questo eleborato insieme di lettere è
la firma di Colombo.
<<Lui infatti non scriveva mai il proprio nome>>, continua Marino
<<ma usava questo strano crittogramma:
.S
.S.A.S
X M Y
Xpo Ferens
<<Si tratta di un triangolo, simbolo della Santissima Trinità,
formato da sette lettere, il numero che compare più spesso
nell’Apocalisse di San Giovanni. La X, la M e la Y possono
significare Cristo, Maria e Giovanni. Oppure anche Cristo, Maometto
e Yahweh, cioè il Dio delle tre grandi religioni. Infine la dicitura
“Xpo Ferens” cioè “Cristo ferens”, “portatore di Cristo” indica il
nome “Cristoforo”, forse volendo intendere se stesso come colui che
porta la religione cristiana verso il Nuovo Mondo
<<Il
fatto è che Colombo era davvero una specie di mistico>>, prosegue
Marino. <<Era una sorta di “frate guerriero”. Sì, proprio come un
templare. Non se ne parla molto ma Colombo era un “iniziato”, un
condottiero che combattè contro i musulmani nella presa di Granada.
Lui stesso affermava di aver preso la via del mare a quattordici
anni. Questo non significa solamente che iniziò da giovane a
navigare. La “via del mare” era l’addestramento, fisico e
spirituale, dei Cavalieri di Rodi, gli eredi dei Templari, e
iniziava proprio a quattordici anni. E non dimentichiamo che il
nonno di Colombo era originario di Rodi. Inoltre, del periodo in cui
Colombo visse in Portogallo non si conosce nulla però sappiamo che
in Portogallo i Cavalieri Templari non vennero perseguitati ma
confluirono invece nell’ordine dei Cavalieri di Cristo. E proprio un
Cavaliere di Cristo era il padre della nobildonna che Colombo sposò.
Ma dirò di più. Colombo, secondo me, faceva parte di una di cerchia
eletta, possedeva grandi conoscenze di matematica, di geometria, di
filosofia ma soprattutto di alchimia e di cabala. E poi aveva
l’incarico di colonizzare il Nuovo Mondo, una missione
importantissima perché nelle Americhe si cercava l’oro necessario a
combattere l’Islam. Come vedete, era un personaggio importante che
aveva da compiere una missione allora definita “santa”.>>
<<E per questo che venne chiesta la sua
canonizzazione?>>, domando a Marino.
<<Anche, ma non solo.>>, dice Marino. <<Colombo
aveva dei meriti e la sua condotta di vita era tale che si pensò
davvero di elevarlo agli onori degli altari. La causa per la
beatificazione di Colombo venne proposta nell’Ottocento. Dopo la sua
morte, avvenuta nel 1506, Colombo venne completamente dimenticato
per tre secoli. Però la sua immagine continuò ad essere custodita
con venerazione da molti importanti esponenti della Chiesa. Ritratti
di Colombo, eseguiti da famosi pittori come il Ghirlandaio o
Sebastiano del Piombo, venivano conservati da vescovi e cardinali
come fossero delle reliquie. Questo può far riflettere. In più, in
quei quadri, Colombo è sempre raffigurato come un monaco, vestito
con una specie di tonaca scura. Fu uno studioso francese, il conte
Roselly de Lorgues, ad aprire la questione della canonizzazione. Nel
1865 si recò da Pio IX con un’ampia documentazione, per vedere se
era possibile aprire il processo. La “Postulazione pro causa di
Santificazione di Colombo” a Pio IX, a firma del cardinale
Ferdinando Bonnet, arcivescovo di Bordeaux, porta la data del 1866.
Nonostante enormi difficoltà, il papa rispose “Tentar non nuoce”. E’
facile capire quali fossero le difficoltà: erano passati più di
trecento anni dalla morte di Colombo, mancavano i testimoni oculari
e il patrocinio di un vescovo del luogo dove colombo era vissuto.
Insomma, tutti gli elementi necessari secondo le norme per le
aperture della cause di beatificazione. E poi, pesavano le accuse
fatte a Colombo di essere uno schiavista, un conquistatore colpevole
di soprusi nei confronti degli indigeni del Nuovo Mondo. A quanto
pare però, Pio IX decise ugualmente di procedere.>>
<<Ma
Cristoforo Colombo era davvero così come lo dipingevano? Uno
schiavista?>>, chiedo a Marino.
<<No, tutt’altro>>, mi spiega. <<Esistono
documenti che lo descrivono come una persona pia, dedita alla
preghiera, al digiuno. Si preoccupava degli indigeni, andava a
trovarli quando erano ammalati. Fece costruire addirittura un
ospedale per loro e li proteggeva dai soprusi dei nobili spagnoli.
Probabilmente fu proprio per questo suo difendere gli indios che
Colombo si fece numerosi nemici. I Gesuiti scrissero sulla “Civiltà
Cattolica” nel 1892: “Chi bene studia la vita di Cristoforo si
accorge che egli morì nella povertà e nell’umiliazione, vittima
della sua carità per gl’indiani e del suo zelo per l’onore di Gesù
Cristo”.
<<Ma c’è anche un altro aspetto molto curioso
nella vicenda che riguarda Colombo>>, prosegue Ruggero Marino.
<<Pare infatti che abbia anche compiuto dei prodigi. Sono fatti
difficili da verificare e che poco hanno a che fare con una causa di
santificazione. Però, se ne trova traccia nei diari di bordo dei
suoi viaggi. Ad esempio, si dice che in un’occasione allontanò una
tromba d’aria in arrivo leggendo il Vangelo ad alta voce e
tracciando una croce con la spada. Nel 1498, a Santo Domingo,
predisse una tempesta con giorni di anticipo. La flotta in partenza
per la Spagna però non diede peso alle sue parole e venne così quasi
interamente affondata dal maltempo. Sembra anche che una croce,
piantata da Colombo su una spiaggia del Nuovo Mondo, si rigenerasse
di continuo nonostante i credenti ne asportassero dei pezzi con
fervore devozionale.
<<Come
vedete, la figura di Cristoforo Colombo è più complessa di quanto
non si pensi. La storia lo presenta come un marinaio ma, come
abbiamo visto, era probabilmente un cavaliere templare, sicuramente
una persona molto istruita, un integerrimo cristiano, forse un
mistico. Per questo, la sua causa di beatificazione ha trovato
ascolto presso Papa Pio IX. Attualmente è ferma. Qualche tentativo
di farla riprendere è stato fatto in tempi recenti dal cardinale
Tarcisio Bertone, quando era arcivescovo di Genova. Oggi, il
cardinale Bertone è segretario di Stato di papa Ratzinger. Forse
potrebbe fare ancora qualche cosa, ma per il momento la causa di
Colombo giace inattiva presso la Postulazione Generale dell’ordine
dei francescani minori>>.
Riflettiamo
su tutto quello che l’amico Marino ci ha raccontato mentre
camminiamo in cerca di un posto dove mangiare un boccone. E il
nostro viaggio a Roma si conclude nel migliore dei modi perché
capitiamo, per caso, davanti ad uno dei più tradizionali locali di
Trastevere, il mitico ristorante da “Checco er carrettiere”. Sono
tre generazioni che questo posto cucina i piatti della tradizione
romana ed è con un piacere stucchevole che io e Nicola ci sediamo a
tavola, sfregandoci le mani di soddisfazione.
Ordiniamo tutti e due lo stesso piatto,
spaghetti cacio e pepe. Una ricetta semplice e potente, l’aveva
definita il grande cuoco Vincenzo Buonassisi. E preparata come la
fanno da Checco, alla vecchia maniera, con una salsa di pecorino e
acqua di cottura nella quale si fa poi passare la pasta al dente
prima di tempestarla di pepe, è un piccolo capolavoro di poesia e
romanticismo. Ci innamoriamo con un colpo di fulmine di questi
spaghetti e qualche ora più tardi, quando sonnecchiamo ai 350 l’ora
sulla Freccia Rossa che rientra a Milano, quel gusto forte e
saporito ce lo sentiamo ancora in bocca. E ci scappa un sorriso di
felicità.
