Ad agosto si aprirà a Milano il processo di beatificazione di Fratel Ettore, religioso camilliano morto nel 2004 e che tutti chiamavano “il padre dei barboni”. Suor Teresa Martino, ex attrice, e ora responsabile dell’opera di Fratel Ettore, racconta chi era questo santo moderno e come lo ha conosciuto

UN GIGANTE DELLA CARITA’

Copyright © 2007  editorialegliolmi.it   tonyassante.com

DI Roberto Allegri - Foto di Nicola Allegri

 

<<Il 2009 sarà per noi dell’Opera “Fratel Ettore”, un anno molto importante>>, dice Suor Teresa Martino, attuale responsabile dell’opera. <<Il 25 marzo festeggeremo il trentesimo anniversario dell’inizio ufficiale della nostra attività a favore dei poveri. Ad agosto si aprirà ufficialmente il processo di beatificazione del nostro fondatore, e prima della fine di quest’anno realizzeremo un sogno che a lui piaceva molto: un teatro qui nella nostra sede. Si chiamerà il “Teatro della Misericordia” e saranno i nostri assistiti, cioè i più poveri dei poveri, ad esprimere il loro talento comunicativo per sentirsi, in questo modo, importanti>>.

 

Un sorriso disarmante arricchito dallo sguardo sereno, Suor Teresa parla con un tono di voce pacato e caldo. Appeso al muro, alle sue spalle, un grande ritratto di Fratel Ettore, il religioso camilliano, conosciuto come il “padre dei barboni”, morto a Milano nel 2004 e considerato, anche quando era in vita, un grande santo del nostro tempo.

 

<<Il cardinale Martini lo aveva definito “un gigante della carità”>>, continua Suor Teresa con commozione. <<Giovanni Paolo II gli voleva bene, Madre Teresa fece un viaggio a Milano per poterlo conoscere, e il cardinale Dionigi Tettamanzi volle celebrare i suoi funerali>>.

 

Fratel Ettore Boschini è famoso per aver dedicato la sua vita agli emarginati di ogni genere. Senzatetto, tossicodipendenti, alcolizzati che vivevano per strada, disperati, vagabondi, malati terminali senza nessuno al mondo: chiunque avesse bisogno di un pezzo di pane, di un rifugio o di conforto umano in fratel Ettore trovava un aiuto sicuro. Il religioso viveva nella povertà assoluta, come i suoi protetti, ma tutti a Milano gli volevano bene e davano una mano alla sua opera. Alla sua morte, avvenuta il 20 agosto 2004, quando aveva 76 anni, la città gli rese grande omaggio. Ai funerali, celebrati dal Cardinale Tettamanzi nella chiesa di Sant’Ambrogio, c’era una folla immensa, costituita prevalentemente dai suoi amici poveri, ma anche dai suoi innumerevoli ammiratori e tra essi le più alte autorità civili e religiose.

 

Nato a Roverbella, in provincia di Mantova il 25 marzo 1928, fratel Ettore apparteneva a una famiglia di contadini. Fino all’età di ventiquattro anni aveva lavorato in famiglia dedicandosi ai campi e alla stalla, poi entrò nell’ordine di San Camillo, come “fratello laico”, cioè non sacerdote. La sua prima attività la svolse alla Casa Camilliana degli Alberoni al Lido di Venezia, assistendo i bambini con handicap. Nel 1970 fu trasferito a Milano, alla clinica “Pio X”, dove prese il diploma di infermiere  e cominciò la sua missione tra gli emarginati più poveri, quelli che a Milano venivano chiamati “barboni” e che egli invece chiamava “i figli più amati da Dio”. In poco tempo la sua attività crebbe, aiutata dalla generosità dei milanesi, e Fratel Ettore divenne il simbolo della carità della città lombarda. Nacquero le sue opere: rifugi, dormitori, mense, ricoveri, non solo a Milano e dintorni ma anche nel resto d’Italia e perfino in Colombia.

 

<<Attualmente le nostre case sono sette più una grande in Colombia. Ma la sede principale è qui, nella “Casa Betania” di Seveso>>, dice ancora suor Teresa che per dieci anni è stata la più stretta collaboratrice di fratel Ettore e che alla sua morte è stata chiamata a continuarne l’opera.

 

Anche suor Teresa però ha una storia del tutto singolare. Nata in una famiglia della ricca borghesia, è cresciuta senza alcuna educazione religiosa, ma con una grande passione per il teatro. Dopo essersi diplomata all’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico” di Roma debuttò nella compagnia di Paolo Stoppa e Rina Morelli, cominciando una splendida carriera teatrale e recitando con i migliori attori e lavorando anche in televisione.

 

<<Ad un certo punto, però, ho sentito un grande vuoto dentro di me>>, confida. <<Essere attrice non colmava più il mio cuore. Entrai in una sorta di crisi e cominciai ad essere affascinata dalla figura di Gesù. Lasciai il teatro per seguire le nuove aspirazioni. Nel 1994 incontrai fratel Ettore e mi accorsi che il servizio totale ai più poveri tra i poveri era la strada che Dio mi stava indicando.

 

<<Fratel Ettore raccoglieva dalla strada chi non aveva più speranza, e donava dignità dando loro modo un luogo dove sentirsi ancora persone. Li accoglieva nella sua “famiglia”. Alcuni fuggivano via, altri restavano. Oggi, nella sede di Seveso, ospitiamo cinquanta persone che altrimenti non avrebbero un posto dove andare. Hanno handicap mentali o fisici più o meno grandi ma qui sono a casa. Sono inseriti in un ritmo quotidiano fatto di orari, occupazione e anche di preghiera. Quattro volte al giorno ci troviamo in chiesa a pregare insieme. Come i monaci. Siamo un “monastero di poveri” ma non obblighiamo nessuno a partecipare alle funzioni religiose. Lasciamo che venga alla luce, dentro di loro, il bisogno insito nell’animo umano di parlare con Dio

 

<<Io sento costantemente la presenza di fratel Ettore nelle mie giornate e nel lavoro che svolgo. Il mio incontro con lui è stato il fulcro della mia vita. Avvenne molti anni fa.

 

<<Una sera, fratel Ettore arrivò nella parrocchia del mio paese, in Abruzzo. Viaggiava su una vecchia auto con una grande statua della Madonna di Fatima sul tetto. Sembrava un muratore appena uscito dal cantiere. Sporco di calcina e fuliggine, coi capelli grigi arruffati. Con lui c’era un gruppo di persone dall’aspetto strano, chi con i calzoni troppo corti e chi con la giacca di tre misure più grande. Non sapevo chi fossero e pensavo si trattasse di una compagnia teatrale di guitti. “Chi è quell’uomo?” chiesi. “E’ fratel Ettore, quello dei poveri di Milano”, mi risposero. Poi si mise a parlare e io andai in crisi.

 

<<Indicando i suoi amici disse “Questi sono i poveri!”. Io rimasi di sasso. Mi accorsi di non conoscere veramente i poveri, di non averli mai visti. Li guardai attentamente. Quella era la gente che aveva bisogno sul serio, quelli che non possedevano nulla. Averli di fronte, a me che mi crogiolavo in una fede borghese e rassicurante, fu un colpo. Decisi di andare a trovare fratel Ettore a Milano. E là, la sua missione conquistò il mio cuore.

 

<<Fratel Ettore mi portò con lui in giro per la città. Faceva freddo, io avevo sciarpa, cappello e guanti ma lui mi fece regalare tutto quanto a chi era senza. “Cosa ne fai di quella sciarpa? Dalla a lui che, come vedi, ne ha tanto bisogno, sta morendo di freddo!”, mi diceva. Ed era vero! Impossibile resistere, Arrivammo al Rifugio dove fratel Ettore accoglieva i senza dimora. Entrare là, fu come attraversare un muro. Gente dal volto cupo, incattivita dalle privazioni, scolpita dalla sofferenza e dal bere. Ebbi paura. Il giorno dopo, scappai a casa. Ma un seme era stato posto nel mio cuore. Non facevo che pensare ai poveri di Fratel Ettore. Tra quella gente disperata e bisognosa avevo visto il sorriso di Dio. Tornai a Milano e sono ancora qui.

 

<<Fratel Ettore è stato un santo che viveva in epoche diverse contemporaneamente. Era un guerriero disarmato come i santi del passato che si faceva strada tra i disperati, anche i più pericolosi, col sorriso e la forza della fede. Ma era anche un uomo tecnologico che usava il computer e il cellulare. E’ stato uno dei primi ad usare quegli enormi telefoni satellitari da campo. Se lo portava in giro a tracolla per poter comunicare ad ogni istante con i suoi aiutanti e garantire aiuto immediato a chi ne aveva bisogno. Gli ultimi della società erano sempre il suo pensiero principale.

 

<<Una volta dissi a fratel Ettore che mi sarebbe piaciuto realizzare un teatro con i suoi poveri. “Tanto qui è già tutto una commedia” mi rispose. Ma l’idea gli piacque. Ora, quel teatro vedrà la luce. Nei sotterranei della nostra sede vi è un salone grandissimo, adatto a diventare teatro. La compagnia di Gluaco Mauri e Roberto Sturno ci ha donato gran parte del materiale tecnico di cui abbiamo bisogno. Cercherò di coinvolgere attori professionisti che ci sono vicini e fanno volontariato con i poveri. Sarà un posto dove gli ospiti potranno sperimentarsi, imparare, magari avere soddisfazioni. Servirà anche da laboratorio creativo. Si cercheranno maniere inedite per rendere pubbliche nuove parole. Fratel Ettore diceva che tra i poveri si trovano tutti i generi teatrali: dal grottesco al tragico, dalla commedia al dramma. Il nostro Teatro della Misericordia sarà davvero molto, molto colorato.>>

 

robi.allegri@gmail.com