Nel racconto del postulatore della
causa di beatificazione, la straordinaria storia di Lolo, scrittore
spagnolo, autore di decine di articoli e di nove libri, per 28 anni
paralizzato e poi anche cieco, ma sempre con il sorriso sulle labbra.
DALL’ALBO DEI GIORNALISTI
A QUELLO DEI SANTI
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DI
Renzo Allegri
Sarà
il primo giornalista professionista ad essere elevato alla gloria
degli altari. Si chiama Manuel Lozano Garrido, ma in Spagna,
nell’Andalusia, dove è vissuto dal 1920 al 1971, era
affettuosamente chiamato “Lolo”. Il processo di beatificazione che
lo riguarda è già concluso. Anche l’ultima fase, quella sul miracolo
ottenuto per sua intercessione. Ora manca solo che il Papa indichi
la data della solenne proclamazione, e l’intervento di Benedetto
XVI dovrebbe essere prossimo.
<<Lolo
non è ancor molto conosciuto al di fuori della sua patria, la
Spagna>>, dice monsignor Raphael Higueras Alamo, postulatore della
causa di beatificazione. <<Ma si tratta di una personalità
veramente eccelsa: un grande santo e un santo moderno, impegnato
nell’apostolato attraverso la carta stampata.
<<La
Chiesa, soprattutto in questi ultimi anni, guarda ai mezzi di
comunicazione di massa con molta attenzione. Il Concilio Vaticano II
ha dedicato un ampio documento a questo tema, il Decreto conciliare
che si intitola “Inter mirifica”, cioè “tra le cose meravigliose”.
Papa Giovanni Paolo II ha più volte parlato dell’importanza dei mass
media per la diffusione del Vangelo e anche Benedetto XVI continua a
farlo. Lolo è stato uno straordinario precursore.
<<Certo>>,
prosegue monsignor Higueras << ci sono anche altri santi che in vita
si sono interessati molto della stampa. Per esempio, San
Massimiliano Kolbe, il religioso francescano conventuale, grande
apostolo dell’Immacolata, che morì nel 1941 nel “bunker della fame”
del Lager di
Auschwitz. Per il suo apostolato mariano si serviva molto della
stampa. Il Beato Giacomo Alberione, fondatore di numerose
congregazioni religiose cattoliche, fu un grande editore. Lo stesso
San Francesco di Sales, vescovo di Ginevra, nel 1600 aveva capito
l’importanza della stampa per la diffusione del Vangelo e si dedicò
molto all’apostolato attraverso i libri e per questo è stato
proclamato “patrono dei giornalisti”. Ma Lolo sarà il primo
giornalista professionista laico ad essere beatificato. In vita era
iscritto nell’albo dei giornalisti professionisti, ora sta per
essere iscritto nell’albo dei Santi>>.
Monsignor Higueras Alamo, Prelato d’Onore di Sua Santità, Canonico
Magistrale della Cattedrale e Giudice diocesano della Diocesi di
Jaén, è la persona che più di ogni altro ha conosciuto a fondo
Manuel Lozano Garrido. Non solo perché in questi anni si è
interessato a tempo pieno di lui come postulatore della causa di
beatificazione, ma anche perché lo ha conosciuto, gli è stato amico,
lo ha assistito e Lolo è spirato proprio tra le sue braccia.
<<Era
il 3 novembre 1971>>, ricorda commosso monsignor Higueras. <<Lolo
aveva trascorso una notte molto agitata. Ma negli ultimi tempi
accadeva spesso. La malattia lo stava consumando. Però, lui
sopportava tutto con grande serenità e non si lamentava mai. Era
difficile per questo intuire la reale gravità del suo stato. Il suo
medico, scherzando, diceva spesso: “Lolo, sei un malato grave che
gode di ottima salute”. E anche in quell’occasione non pensavamo che
fosse giunta l’ora estrema. Stavamo pregando insieme e lui esalò
l’ultimo respiro, in modo sereno, proprio come era sempre vissuto>>.
Di che cosa era
ammalato?
<<Nel
1942, quando aveva 22 anni, venne colpito da una paralisi
progressiva che lo costrinse su una sedia a rotelle. Fu paralitico
per il resto della sua esistenza, cioè per oltre 28 anni, e negli
ultimi nove, all'immobilità totale si aggiunse anche la cecità
completa. Ma tutti questi malanni, che imprigionavano la sua
autonomia fisica, non fermarono mai la sua attività di giornalista.
Egli amava questa professione soprattutto perché gli permetteva di
fare dell’apostolato. L’aveva scelta fin da giovane proprio per
questo motivo. Aveva una fede cristiana vivissima, maturata in
famiglia e poi nel movimento dell’Azione Cattolica, al quale si era
iscritto a 11 anni. E sentiva con urgenza il dovere di trasmettere
la sua fede agli altri. Era apostolo con la parola per tutti coloro
che lo avvicinavano e con la penna per quelli che leggevano i suoi
scritti>>.
Apparteneva
a una famiglia molto religiosa?
<<Sì,
i genitori e anche nonni di Lolo erano dei cattolici ferventi e
furono loro i primi educatori religiosi del bambino. Il padre,
Agustin, era un commerciante e anche industriale. Possedeva una
fabbrica a Linares, cittadina dell’Andalusia, dove la famiglia
risiedeva, ma lavorava nel commercio dei concimi minerali con
attività che si estendeva anche fuori dell’Andalusia. Anche la
madre, Lucia, apparteneva a una famiglia facoltosa. Lolo era il
quinto di sette tra fratelli e sorelle. Tutte persone straordinarie
e cristiani esemplari. Purtroppo, il capofamiglia morì presto,
quando Lolo aveva solo sei anni. La madre qualche anno dopo. Il
fratello maggiore, ingegnere, prese in mano la famiglia, ma venne
ucciso all’inizio della guerra civile. In mezzo a tutti questi
dolori, Lolo poteva smarrirsi, invece non accadde. Anzi, si
fortificò sempre più nella fede>>.
Prima che la
paralisi lo costringesse a vivere su una sedia a rotelle, che tipo
era?
<<Secondo i racconti da me raccolti per la causa di beatificazione,
tutti i testimoni che lo hanno conosciuto bene, in particolare le
sorelle e il fratello, hanno messo in evidenza la sua “gioia di
vivere”. Gioia che ha sempre mantenuto anche da paralizzato. Per
questo, quando ho scritto la biografia di Lolo ho voluto intitolarla
“La gioia vissuta” . Fin da bambino, era molto vivace, allegro,
burlone e anche un po’ monello. Amava combinare scherzi, però sempre
generoso, sincero, limpido. Da giovane era molto appassionato di
calcio, giocava da terzino sinistro e dicono fosse molto bravo. Gli
piaceva il cinema, in particolare le comiche di Charlot.
Amava la natura, amava la compagnia, il canto. Gli amici
ricordano che, da giovanotto, andavano spesso a fare serenate alle
ragazze. E ce n’era una alla quale voleva molto bene e certamente
pensava di formare con lei una famiglia. Benchè molto devoto, non
pensò mai a farsi sacerdote o a diventare religioso. Sentiva forte
la vocazione di credente laico impegnato. Un antesignano di quel
laicismo cattolico uscito dal Concilio Ecumenico II.
<<Fece
gli studi in un collegio degli Scolopi. Interruppe gli studi nel
1936 per la guerra civile, e li riprese nel 1939. Seguì dei corsi
professionali e alla fine si diplomò maestro. Io penso che sia
stato proprio nel periodo della guerra civile che Lolo fortificò la
propria fede e scoprì la propria vocazione di “apostolo laico” del
Vangelo.
<<Perché proprio
durante la guerra civile?
<<Quel
periodo fu terribile per i credenti spagnoli. Come è noto, quella
guerra si combattè tra nazionalisti anti-marxisti e i
Republicanos composti da truppe governative e sostenitori della
Repubblica spagnola, che erano marxisti. Guerra fratricida. Si
parla di 500.000 e forse un milione di persone uccise. Da un punto
di vista religioso, quel periodo viene giustamente chiamato “delle
catacombe” perché fu un periodo di autentica e feroce persecuzione
della Chiesa spagnola. Secondo recenti studi del vescovo di
Merida-Badajoz, Antonio Montero, tra il luglio 1936 e l'aprile 1939,
in Spagna furono trucidati 6.832 tra religiosi e sacerdoti, e
innumerevoli cristiani laici. Era pericoloso professare la propria
fede, ma il giovane Lolo, che aveva allora soltanto 16 anni, non si
intimorì e non nascose le sue idee e le sue convinzioni>>.
<<Fu
perseguitato?>>.
<<Certamente. Fu perseguitato con tutti i membri della sua famiglia.
Il fratello Maggiore, Agustin, che guidava la famiglia dopo la morte
del padre, venne assassinato a Madrid per le sue convinzioni
religiose. Lolo e altre due sorelle maggiori finirono in carcere,
mentre i due fratelli più piccoli restarono a casa solo perché
avevano meno di 15 anni.
<<Fu
in quel periodo che Lolo approfondì la propria fede e soprattutto la
devozione nell’Eucaristia. A Linares era rimasto un solo sacerdote,
che non poteva però svolgere il suo ministero. E si serviva, in gran
segreto, di alcune persone per far giungere la Comunione agli
ammalati o a cristiani che la desideravano ma non potevano andare in
Chiesa. Uno di questi “intermediari segreti” fu Lolo. In casa sua
aveva preparato un tabernacolo dove teneva le ostie consacrate. Come
raccontò in seguito, egli trascorreva molto tempo davanti a quel
tabernacolo. E quando andava in giro a portare la comunione a
qualche ammalato, rifletteva sulla incredibile situazione che stava
vivendo, e cioè essere “portatore” di Gesù, del figlio di Dio.
Rifletteva su questa stupefacente realtà e il suo amore per Gesù
cresceva.
<<Ad
un certo momento fu denunciato da un vicino di casa e finì in
carcere. Il Giovedì Santo di quell’anno, la sorella più piccola andò
a trovarlo e gli portò un mazzetto di fiori dentro il quale aveva
nascosto alcune ostie consacrate. Lolo organizzò una notte di
adorazione a cui parteciparono tutti i carcerati, perché quasi
tutti erano stati arrestati per la loro fede religiosa>>
<<Come
avvenne che si ammalò?>>
<<Nel
1942, mentre stava facendo il servizio militare cominciò ad accusare
dolori reumatici. Fu visitato a curato in vari ospedali, anche a
Madrid, ma la malattia si presentò subito grave e irreversibile. La
cartella clinica di allora non dava speranze. Si legge che si
trattava di “una malattia progressiva e irreversibile che attacca
selettivamente le articolazioni sacro-iliache, conosciuta come
“spondilite anchilosante”.
<<A
poco a poco il corpo di Lolo divenne rigido e deformato. I piedi si
trasformarono in artigli ratrappiti, incurvati all’indietro. Le
mani subirono la stessa sorte. Le vertebre si saldarono l’una con
l’altra, rendendo il corpo un sasso. Lolo non riusciva neppure a
muovere le mandibole e poteva nutrirsi solo con cibo liquido.
<<Ogni
movimento provocava dolori indicibili. I momenti della giornata più
drammatici erano quelli del mattino, quando dovere essere tolto dal
letto e alla sera quando ritornava a letto. Erano operazioni che
duravano anche un’ora e venivano eseguite con l’aiuto di una
trentina di cuscini per impedire che i dolori diventassero
insopportabili. Il suo fisico divenne una specie di involucro
incartapecorito, che pesava una trentina di chili. Ogni tanto
bisognava togliergli il sangue per fare le analisi. Operazione che
era diventata un dramma. I medici, dopo che tutti i tentativi nelle
braccia, nelle mani, nelle gambe risultavano inutili, si erano
ridotti a siringare le orecchie, unico punto del corpo dal quale era
possibile trarre un po’ di sangue.
<<Il
medico che lo curava, dottor Juan Perez Martinez, fece una
dettagliata relazione della malattia di Lolo e a proposito dei
dolori scrisse: “E come se avesse infisso uno spillo in ogni
cellula del suo corpo”. Nel 1996, i resti mortali di Lolo,
sepolti da 25 anni, vennero riesumati per essere trasferiti nella
chiesa parrocchiale di Santa Maria di Linares, e i medici legali,
incaricati della riesumazione, fecero una lunga relazione nella
quale si legge: «A parte le deformità e le
anomalie che abbiamo visto, che giustificano la posizione sempre più
curva del suo corpo, abbiamo tratto la netta impressione che Lolo
sia stato un “dolore vivente”.
<<Lolo visse con questi dolori, continui e incessanti, per 28 anni.
Cioè per 14 mila e 200 giorni, per 250 mila ore. E senza mai
lamentarsi. Senza che i dolori riuscissero a togliergli la gioia
permanente, il sorriso semplice e continuo, il senso dell'umorismo.
<<E non permise mai che il dolore fermasse il suo lavoro. Quando
perse il movimento della mano destra, imparò a scrivere con la
sinistra. Quando non potè più scrivere neppure con la sinistra,
neanche facendosi legare la matita al pugno, imparò a dettare i suoi
pensieri a un vecchio magnetofono. In queste condizioni scrisse
decine e decine di articoli e nove libri. Un coraggio che solo la
sua grande fede poteva dargli>>.
<<Che giudizio si
può dare, a distanza di anni, della sua attività giornalistica?>>
<<Lolo
fu un giornalista vero e a tempo pieno. Lavorava tutti i giorni e
con impegno indefesso. I suoi articoli erano destinati a giornali e
settimanali cattolici. Quando la malattia lo aveva totalmente
paralizzato e reso anche cieco, fu la sorella Lucia ad aiutarlo,
trascrivendo ciò che dettava al magnetofono. I suoi articoli e i
suoi libri erano molto letti. Vinse diversi premi letterari e alcuni
molto prestigiosi>>.
Qual
è la caratterista della santità di Lolo?
<<La
sua fede religiosa, vissuta con coerenza e entusiasmo. E soprattutto
la sofferenza, sopportata per amore di Gesù, come missione della sua
esistenza. Una sofferenza che lo ha martirizzato per 28 anni.
<<Lolo aveva una visione profonda a chiara della dottrina del “Corpo
mistico di Cristo”. Sapeva che ciascuno di noi vive di Cristo, il
quale continua in ciascuno di noi la sua passione, la sua morte e la
sua risurrezione. Sapeva che le sue sofferenze, vissute nella fede,
sarebbero servite a salvare molti fratelli, come le sofferenze di
Cristo. Ecco perché le sopportò sempre con il sorriso sulle labbra.
Anzi, fondò anche una sua opera meravigliosa, legata alle sofferenze
di ammalati invalidi. Si chiama “Sinai” ed ha lo scopo di sostenere,
con preghiere e sofferenze, i mass media. E’ un movimento costituito
da
gruppi di preghiera, ognuno formato da 12 infermi e un monastero di
clausura, che “adotta” spiritualmente, e a insaputa degli
interessati, i giornalisti che lavorano in un giornale o un gruppo
editoriale perchè la loro opera sia a vantaggio della Verità e del
Bene supremo delle persone. Questo movimento, per il quale Lolo
pubblicava anche una rivista con lo stesso nome, arrivò ad avere 300
infermi incurabili, con 25 monasteri, impegnati in questa singolare
missione>>.
Per la
beatificazione occorre un miracolo che viene attribuito
all’intercessione del candidato alla santità. C’è questo miracolo
per Lolo?
<<C’è ed è già stato esaminato dalla commissione
medica e da quella teologica. I medici hanno concluso che si tratta
di una guarigione scientificamente inspiegabile e i teologi lo hanno
dichiatato autentico miracolo. Questa guarigione riguarda una
persona che ha oggi 38 anni e si chiama Rogelio. Nel 1974, quando
non aveva ancora due anni, il piccolo Rogelio
venne
colpito da appendicite e peritonite. Fu operato, ma la situazione si
complicò, fu operato di nuovo e i medici dovettero estrargli una
parte di peritoneo e dell’intestino, ma non servì. Le fine era
imminente. I medici dissero che non potevano più fare niente.
Qualcuno suggerì di invocare l’aiuto di Lolo che era morto da un
anno. Sul corpo del bambino venne messo il crocefisso che Lolo aveva
sempre tenuto con sé e il bambino guarì: in pochissimi giorni era di
nuovo visto a casa. Oggi è un uomo sano e robusto, e fa l’arbitro di
tennis>>.