Parola di gatto - Roberto Allegri, esperto in etologia, autore di diversi libri sul comportamento degli animali domestici, in questo articolo sostiene come sia importante trovare un nome adatto per ogni gattino, ma si trova spiazzato dalla sua gatta Amneris che non la pensa affatto come lui.

Micio, come ti chiami?

DI Roberto Allegri - Foto di Nicola Allegri

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Dare il nome ad un gatto è una cosa davvero importante. E trovare quello giusto è spesso difficile.

Il nome che il micio porterà per tutta la vita deve in qualche modo riflettere non solo il suo carattere ma anche contenere tutte quelle qualità che sono proprie dei gatti di tutto il mondo come l’indipendenza, il senso di libertà, l’astuzia, e quella sorta di nobiltà che tanto ci attrae. A questo proposito, disse una volta lo scrittore Samuel Butler: “Dicono che il test per conoscere la capacità di fare letteratura sia per un uomo essere in grado di scrivere un’iscrizione. Io dico: è egli in grado di dare un nome ad un gattino?”

In famiglia abbiamo una curiosa tradizione che rispecchia una passione non solo per gli animali ma anche per la buona musica. I nostri gatti portano nomi di personaggi di opere liriche. Così fanno, e hanno fatto, parte del nostro “clan” Parsifal, Radames, Kundry, Falstaff, Butterfly, Amneris, Meg, Quickly, Carmen, Micaela solo per citarne alcuni.

<<Una bella cosa pensare a lungo prima di darci un nome>>, mi dice Amneris. Mi sta guardando un po’ di sbieco, come se non fosse proprio convinta di quanto ha appena espresso.

<<Sei sicura?>>, le domando. <<Non è che preferivi essere chiamata in un altro modo?>>

<<Amneris mi piace molto>>, continua la gatta. <<Solo che spesso ci si dimentica che il nome più bello e soprattutto quello che ha maggior significato è proprio il più semplice: gatto.>>

<<Gatto? Tutto qui? Ma gatto è banale.....>>

<<Tutt’altro. Il nome “gatto” contiene in sé l’intera, millenaria storia dell’amicizia tra noi a voi esseri umani. Un’amicizia che, ti ricordo, è tra le più sincere proprio perché non contaminata dalla schiavitù dell’addomesticazione. Vuoi che ti spieghi?>>

<<Sì, per favore>>, rispondo. Alla mia Amneris piace da matti salire in cattedra e impartirmi lezioni. E a me piace ascoltarla.

<<Dunque, ormai è certo che il gatto è diventato amico dell’uomo in Africa. Fu, infatti, l’area mediterranea nordafricana il teatro che vide, per la prima volta, l’intesa tra un uomo e un esemplare di gatto selvatico, la prima scintilla di quella “storia d’amore” che ancora oggi viviamo.

<<Oltre alle testimonianze dei reperti archeologici, esiste anche un altro fatto che proverebbe l’origine mediterranea dei primi gatti domestici: il loro nome. In Nordafrica i piccoli felini che vivono con l’uomo sono indicati col termine di “quttah”. Ed è da questa parola che deriva il termine latino “cattus” e quindi “gatto”. Non solo, ma gran parte delle altre parole che in tutta Europa definiscono il micio sono tra loro molto simili. In inglese gatto si dice “cat” che diventa “chat” in francese e “katz” in tedesco. In spagnolo è “gato”, in olandese è “kat” e in svedese e norvegese “katt”. E poi nella remota Islanda gatto si dice “kattur”, in Polonia è “kot”, a Malta è “qattus” e in Cecoslovacchia è “kocka”. In Finlandia si dice “katti”. In lingua yddish si dice “kats”, in svizzero “kaz”, in bulgaro “kotka” e in lituano “kate”. Persino in India, in lingua indostana, gatto si dice “katas”. Come puoi vedere, tutte queste lingue si riferiscono a noi mici con parole che possiedono un’unica antica radice.

<<Se non lo hai fatto, ti consiglio di leggere il famoso libro “Catwatching” scritto dallo zoologo inglese Desmond Morris, che tanto bene conosce i gatti. Lui analizza anche altri termini che comunemente vengono usati, in lingua anglosassone, quando si parla dei gatti. Termini che avrebbero un’origine egiziana o araba, quindi che avvalorano la tesi dell’amicizia di origine nordafricana. Morris evidenzia come ad esempio “kitty” che in inglese vuol dire gattino derivi probabilmente dal turco “kedi” e cioè gatto. Anche “pussy” il nomignolo con cui in inglese vengono chiamati un po’ tutti i gatti deriverebbe da “Pasht” e cioè l’antico nome di Bast, la dea dell’antico Egitto protettrice dei gatti. Inoltre, dal turco “utabi” che specifica un gatto tigrato deriva il termine “tabby” molto usato nei concorsi felini per indicare proprio mici dal mantello come quello di una tigre.

<<Nel libro “The big book of cats” lo scrittore Armand Eisen prosegue sull’argomento e spiega come la “k” sempre presente nelle parole europee che significano gatto, si trova in tante altre parole che in diverse lingue qualificano il micio domestico. Ad esempio i popoli swahili dell’Africa centrale dicono “paka”, i giapponesi “neko”, i coreani “ko-yang-ee”, i polinesiani “popoki”, gli Zulu del Susafrica “ikati” e i malesi “kutching”.>>

E come accade ogni volta, la mia saggia Amneris smette all’improvviso di parlare, mi guarda con affetto e se ne va con la coda alzata.

<<Ma come fai tu a sapere tutte queste cose?>>, le dico.

Si gira, mi fissa sdegnosa. <<Noi gatti, siamo colti>>, sbuffa, e ripende il suo cammino, lasciandomi a bocca aperta, ma con qualche cosa di nuovo appena imparato.

robi.allegri@gmail.com

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