
Parola di gatto - Roberto Allegri,
esperto in etologia, autore di diversi libri sul comportamento degli
animali domestici, in questo articolo racconta e commenta una
bellissima storia vera, ricorrendo anche ai consigli della saggia
Kundry, la più anziana delle sue gatte.
E’ TUTTO VERO:
IL RICCIO MANGIAVA CON I GATTI
Di Roberto
Allegri - Foto di
Nicola Allegri
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Il rispetto per gli animali e la capacità di ascoltare i cani, i
gatti, i cavalli e non solo, li ho ricevuti in eredità. Fanno parte
del mio DNA perché li ho appresi da mio padre.
Lui riesce a comunicare in modo perfetto con gli animali, parlando
la lingua della gentilezza e dell’uguaglianza. Tratta cani e gatti
da pari, anzi il più delle volte mette le loro esigenze prima delle
proprie. E’ un comportamento che insegna.
Non ci sono distinzioni per mio padre. E la sua porta è sempre
aperta a chi ne ha bisogno. I nostri gatti vivono come sovrani in
pelliccia nella grande casa di mio padre, nutriti, coccolati e
viziati come meriterebbe ogni micio. Ma fuori casa, sul limitare dei
campi, dove partono i viottoli per i boschi, spesso fanno la loro
comparsa gatti senza padrone, abbandonati o scacciati. Mio padre li
chiama “i pellegrini” perché indossano la veste della dignitosa
povertà: chiedono con discrezione del cibo, si lasciano toccare con
prudenza e poi ritornano nel folto, diffidenti e delusi dal
comportamento del genere umano.
Si
vanno vivi verso le nove di sera. Il loro numero varia. Sembrano gli
avventori di una osteria di campagna. Aspettano con pazienza, anche
sotto la pioggia, perché sanno che mio padre non li deluderà. E,
infatti, dopo aver controllato quanti sono, eccolo comparire con i
piatti in mano, quasi un oste che ha ricevuto le ordinazioni.
Io resto in disparte e osservo. Non mi faccio vedere per non
disturbare il rito, per non spaventare i gatti che non mi conoscono.
Ma l’altra sera mi sono avvicinato e ho scattato anche delle
fotografie. Infatti, ho notato che tra i pellegrini ce ne era uno
molto strano. Uno che di felino aveva ben poco.
Era un riccio. Mangiava serenamente insieme ai mici, prendeva il
cibo dallo stesso piatto, agitando il lungo muso appuntito. Nessuno
lo cacciava via. Era a suo agio. Era un poeta dei boschi, un
vagabondo dell’autunno e parlava la stessa lingua di quei gatti
senza dimora.
<<Sono convinto che lo abbiano accettato proprio per lo spirito che
accomuna i diseredati>>, mi ha detto più tardi mio padre, mentre ci
stavamo gustando un bicchierino di grappa davanti alla stufa.
<<Penso che i gatti gli abbiano detto qualcosa come:
ho avuto la fortuna di trovare qualche cosa da mangiare e lo
condivido con te sperando che un giorno, se mi trovo in difficoltà,
anche tu mi dia una mano. Che lezione ci danno gli animali!>>
Ne ho voluto parlare anche con la mia Kundry, la gatta bianca.
Diventa sempre più anziana ogni giorno che passa, più sottile e
leggera. Ma anche più saggia. <<Noi gatti siamo animali molto
sociali, non scordarlo>>, mi ha confidato. <<Ci prendono tutti per
solitari ed egoisti ma in realtà amiamo molto fare amicizia e fare
conversazione. Noi parliamo con lo sguardo, con i movimenti della
coda, delle orecchie e del corpo, con i baffi, con la voce e con gli
odori: con una gamma così vasta di sistema di comunicazione, ti pare
possibile che possiamo essere asociali e solitari?>>
Rispolvero
la mia memoria e mi accorgo che conosco storie bellissime di mici
che diventano compagni inseparabili di altri animali molto diversi
da loro. Ricordo ad esempio di avere letto della gatta Auan, di
Bangkok. Una miciona nera con una macchia bianca sul muso che,
vicino alla casa del suo padrone, aveva trovato un cucciolo di
ratto, abbandonato dalla madre. Senza pensarci sopra per troppo
tempo, aveva deciso di essere la sua madre adottiva. I due erano
diventati in breve una specie di attrazione. Il ratto, che era stato
chiamato Jeena, stava sempre al fianco della gatta che lo proteggeva
dagli altri felini e lo leccava ogni giorno per tenerlo
perfettamente pulito.
Sempre a Bangkok, viveva un gattino di nome Pom che era stato
abbandonato in un tempio. Lo stesso giorno era stato abbandonato tra
quelle mura anche Piek, un macaco di proprietà di un venditore
ambulante. I due si sono incontrati, affamati e sperduti e hanno
deciso di diventare amici nella disgrazia. Stavano sempre insieme e
i turisti scattavano loro decine di fotografie.
Credo
però che una delle storie di amicizia più belle si è svolta in
Oregon. Il Wildife Images è un famoso centro protezionistico che ha
lo scopo di conservare e di riabilitare gli animali tipici delle
foreste del Nordamerica in pericolo di estinzione, come i cervi, i
lupi e gli orsi grizzly. Qualche anno fa, Griz, un enorme orso bruno
di 300 chili, aspettava il momento del pasto. Aveva già annusato il
familiare odore dei guardiani del parco e anche quello invitante di
una grossa ciotola piena di pezzi di pollo. Gli inservienti gli
sistemarono il cibo oltre la recinzione e poi si allontanarono
perché anche se docile, quando c’è di mezzo il cibo Griz diventa
irascibile.
All’improvviso,
non si sa da dove, è comparso nel recinto un gattino tigrato. Era
pelle e ossa, era bagnato fradicio, e miagolava con insistenza.
Sotto gli occhi atterriti dei guardiani il gattino si è messo a
correre verso l’orso. E’ spacciato, hanno pensato. Questione di
istanti, poi Griz lo avrebbe visto. E invece è accaduto
l’impensabile. L’orso si è accorto della sua presenza, ha fiutato
l’intruso e poi ha addentato un pezzo di pollo facendolo cadere
davanti al gattino. Si sono messi a mangiare insieme e poi l’orso si
è sdraiato al sole con il micetto, quasi invisibile accanto a lui,
accoccolato tra le sue zampe.

Foto
di
Nicola Allegri
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