Nel numero scoro del “Faustino” abbiamo ricordato Giovanni XXIII nel cinquantesimo della sua elezione a Pontefice. Ecco ora il racconto di un grande prodigio ottenuto per sua intercessione.

<<SONO UN “MIRACOLO VIVENTE”

DI PAPA GIOVANNI>>

Di Renzo Allegri - Foto Nicola Allegri

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<<Sono viva grazie a Papa Giovanni XXIII. Mi ha guarita nel 1966 e io gli ho dedicato la mia vita>>.

Così dice Suor Caterina Capitani, 64 anni, religiosa nella Congregazione “Figlie della carità di San Vincenzo de' Paoli”. <<Nel maggio di quell’anno, dopo una lunga malattia, stavo morendo. Mentre ero in agonia, mi apparve Papa Giovanni  che mi disse: <<Non temere, non hai più niente>>, e sono immediatamente guarita.

Suor Caterina è una religiosa dal fisico minuto e fragile.

Attualmente lavora in una Casa di accoglienza per malati di Aids a Napoli, ma è stata per 40 anni responsabile di vari ospedali in grandi città italiane.  << Tutti i medici che conoscono la  mia storia clinica si meravigliano>>, dice.

<<Sostengono che, per loro, sono un  “fenomeno inspiegabile”. E i medici credenti, che sanno della mia guarigione prodigiosa,  mi definiscono “un miracolo vivente”. Infatti, da 42 anni sono senza stomaco, senza milza, senza pancreas e senza altri organi tolti al mio corpo in quindici gravi interventi chirurgici. Per la scienza medica dovrei essere morta o tirare il fiato con i denti su una sedia a rotelle. Invece, posseggo una energia potente. Resisto a qualunque fatica. E il mio segreto è Papa Giovanni che mi sta sempre vicino>>.

Una storia, quella di Suor Caterina, che ha veramente dell’incredibile. Una storia accaduta tanti anni fa, riconosciuta dalla chiesa come un autentico miracolo, il miracolo che è poi servito per la beatificazione di Papa Giovanni, avvenuta nel 2000. Ma un miracolo che si ripete tutti i giorni perché, come affermano anche i medici, Suor Caterina, nelle condizioni fisiche in cui si ritrova, non potrebbe essere viva e tantomeno condurre un’esistenza attivissima come quella che conduce. E mentre tutto il mondo cattolico si prepara a celebrare, il 28 ottobre, il cinquantesimo anniversario della elezione di Papa Giovanni XXIII, vogliamo ricordare questa storia straordinaria.

Tutto comincio nel 1962, quando Suor Caterina, che aveva allora 18 anni,  accusò improvvisi e lancinanti dolori allo stomaco seguiti da una forte emorragia.  Poiché quelle crisi si ripeterono diverse volte, venne ricoverata. Fu sottoposta  a esami, cure, diete, visite specialistiche:  nessun medico riusciva a dare un nome a quei dolori.

Dopo aver pellegrinato per due anni da un ospedale all’altro, nel 1964 approdò alla Clinica Mediterranea di Napoli, che era allora diretta dal Professor Giuseppe Zannini, direttore dell’Istituto di Semeiotica chirurgica dell’Università di Napoli, specialista in chirurgia dei vasi sanguigni:  una autorità medica di fama internazionale. Il professore diagnosticò  “una forma di ulcera strana, rara e gravissima” e decise di operare.  Trovò che lo stomaco  della suora, all’interno, era completamente ricoperto di varici, forse provocate da un cattivo funzionamento della milza e del pancreas,  e fu costretto ad asportate lo stomaco al completo, e anche la milza e il pancreas. L’esofago venne collegato direttamente a quella parte di intestino chiamato “digiuno”. Fu necessario anche tagliare la vena aorta e collegarla a quella cava, deviando la circolazione del sangue. Un intervento delicatissimo, lungo, d’avanguardia. Le probabilità che  Suor Caterina potesse sopravvivere erano minime.

Seguirono altri due anni di calvario: blocchi intestinali,  collassi cardiaci, svenimenti, vomito quasi continuo. La suora veniva nutrita quasi elusivamente da fleboclisi, ma le sue condizioni peggioravano in continuazione.

<<Nel maggio 1966 ero alla fine>>, racconta Suor Caterina. <<Anche i medici si erano arresi. Solo un miracolo poteva salvarmi. Le mie consorelle pregavano Papa Giovanni, che, morto da appena tre anni, aveva fama di essere un grandissimo santo. Anch’io lo pregavo. Avevo soltanto ventidue anni e non volevo morire.  Da una rivista avevo ritagliato una sua immagine sorridente e la tenevo sempre con me, ma sembrava sordo alle mie preghiere.

<<Il 14 maggio, dopo una grave crisi di vomito, sentii che avevo l’addome tutto bagnato. Chiesi a una consorella di controllare che cosa fosse accaduto: sullo stomaco si era aperto un buco, dal quale uscivano succhi gastrici, sangue e qual poco di succo d’arancia che avevo bevuto.

<Fu chiamato il medico. Disse che si era formata una perforazione, la quale aveva causato una fistola esterna. Da quel momento, tutto quello che ingerivo, usciva da quel foro. I succhi gastrici corrodevano la pelle, e  la zona del mio stomaco e dell’addome  in un paio di giorni era diventata una piaga viva.  In seguito, la perforazione provocò una peritonite diffusa, con febbre altissima. Date le mie condizioni, un intervento chirurgico era impensabile. E questa volta era proprio la fine. Mi diedero l’estrema unzione e attendevo la morte.

<<Il 25 maggio, verso le 14.30, chiesi alla consorella che mi assisteva, di socchiudere la finestra perché la luce mi dava fastidio. Mi accontentò. In quella penombra mi pareva di trovare un po’ di sollievo e mi assopii. Ad un certo momento sentii una mano che mi premeva la ferita sullo stomaco e una voce d’uomo che  disse: “Suor Caterina, suor Caterina”. Pensai fosse il professor Zannini. Mi girai  e vidi, accanto al mio letto, Papa Giovanni: sul volto aveva lo stesso sorriso dell'immagine che portavo sempre con me. Era lui che teneva la mano sulla mia ferita allo stomaco.

« “Mi hai molto pregato”,  disse. “Molte persone lo hanno fatto.  Me l'a­vete proprio strappato dal cuore questo miracolo. Ma ora non temere, non hai più niente. Suona il campanello, chia­ma le suore, fatti misurare la febbre e vedrai che la temperatura non arriverà neppure a trentasette gradi. Mangia tutto quello che vuoi, come prima della malattia: sulla tua ferita tengo la mia mano”

<<La visione scomparve. Tremavo per l'emozione.  Mi chiedevo se stessi sognando. Mi resi conto che non avevo più alcun dolore, ma non osavo chiamare le suore per non essere presa per pazza. Dopo alcuni minuti, decidi di fare ciò  che mi aveva detto il Papa: suonai il campanello. Le suore accorsero. Mi trovarono seduta sul letto. Mi guardarono trasognate. Non riuscii più a contenere la mia gioia, e  gridai:  "Sono guarita. E stato Papa Giovanni. Misuratemi la febbre, vedrete che non ho più niente".

<<La madre superiora pensò fossi in preda al delirio che precede la morte. Mi misurarono la febbre: 36 e 8. “Avete visto?”, dissi con aria di sfida. “E ora datemi da mangiare perché ho fame”.

<<Da parecchi mesi non riuscivo a tenere niente nello stomaco. La madre superiora  diede ordine di accontentarmi. Una suora mi portò del semolino che, tra gli sguardi allibiti delle mie consorelle, ingoiai voracemente. “Ho fame ancora”, dissi. Mi portarono una minestrina, poi delle polpette, un gelato e mangiai tutto.

«A quel punto, la madre superiora, che non era anco­ra convinta di ciò che stava accadendo davanti ai suoi occhi,  disse: “Adesso dobbiamo cambiarti”, pensando che tutto quello che avevo mangiato fosse uscito dalla fistola aperta sullo stomaco.  Un’infermiera portò delle garze e dei vestiti puliti. Mi scoprirono. L'infermiera gridò: "Ma qui non c'è più niente". Le suore caddero in ginocchio piangendo per la commozione. Fino a poco prima la pelle del mio sto­maco, corrosa dai succhi gastrici, era tutta una piaga; ora non c'era più niente. Della fistola, nessuna traccia: la pelle era liscia, pu­lita e bianca. Ero completamente guarita.<<Da allora>>, conclude Suor Caterina <<i guai di quella lunga malattia scomparvero totalmente. E, pur senza stomaco, senza milza, senza pancreas, ho continuato a vivere,  a lavorare moltissimo, grazie a Papa Giovanni>>