Cagliari, 07/02/07
Non volevo più parlare di uomini e cambiare argomento. Poi, dopo alcune recentissime vicende, ho sentito la necessità di sottoporvi alcuni miei pensieri. Da sempre l'insicurezza ha prodotto, esemplificando, due grandi classi di persone: quelle rifugiatesi nella timidezza e quelle divenute eccessivamente aggressive nei confronti di chi, suo malgrado, è costretto alla loro frequentazione. Probabilmente tutti noi abbiamo sperimentato e mal sopportato, soprattutto nella scuola, la violenza verbale o fisica di quanti erano poco propensi a rispettare il prossimo, aiutati dalla propria indole e dalla palese approvazione di altri individui caratterialmente deboli. Alcuni episodi, definiti con il termine di "bullismo", recentemente sono stati riportati dalla cronaca perchè caratterizzati da violenze contro donne indifese e contro ancora più indifese persone affette da gravissime disabilità. Possiamo allora riflettere sulla squallida assenza di valori che alimenta l'azione del "bullo": costui, per sentirsi "capo branco", non esita a collocarsi in una dimensione che ci fa pensare anche ad una sua condizione di labilità psichica, la quale, comunque, impone una severa punizione, secondo le vigenti leggi, ed un recupero alla convivenza civile. Pur non credendo che possa ripetersi una simile evenienza, ricordo che, in un passato non troppo lontano, sono stati organizzati campi di sterminio dove, assieme alle altre, le persone con disabilità subivano le più atroci sofferenze, fino alla morte.
Sicuramente tutti dobbiamo interrogarci sull'effetto altamente diseducativo indotto da molti programmi televisivi, da certe esplorazioni nel Web, da tanti esempi che la quotidianità purtroppo ci elargisce. Però, nell'attesa di un rimedio, la conoscenza dell'esistenza del male non deve costituire un alibi ed un'autorizzazione a perseguirlo, nella convinzione di riuscire a sottrarsi ad un meritato castigo. Giorgio Giovanni Lai |