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Ajò Giorgio
in memoria di
Giorgio Giovanni Lai
by Sabrina Panfili
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Questa volta non ce la fa nemmeno
lui... Quella voce che da sempre mi accompagna verso l'esistenza, che
allevia le mie ferite interiori, non riesce a regalarmi un po' di
distensione.
Alla serata dei Wind Music Awards, dove Claudio era ospite, forse per una
strana coincidenza del destino, non ci ha urlato: “Salta sulla vita”. Non
ce l'ha detto di non mettere il mondo tra parentesi, di non rimanere
nell'immanenza. Forse perché è troppo difficile ora che Giorgio ci ha
appena lasciati, lanciarsi verso quel modo di vivere che caratterizza il
nostro essere baglioniani.
Il dolore è una consapevolezza così decisamente sensoriale, un'idea che
penso non potremo mai fare totalmente nostra, perché: “L'anima non sta
alla corte della ragione”.
Bernardino
Telesio, un filosofo calabrese vissuto nel '500, diceva che il dolore
viene considerato nella sua veste più positiva, diventando il mezzo usato
dall'umanità per raggiungere e completare, all'interno del viaggio che è
la vita, le sofferenze del Cristo. Ma chi non ha questo “gancio in mezzo
al cielo”, come fa? Io... Come faccio?
Ciò che la natura ha legato, la natura scioglie e ciò che l'anima ha
legato, l'anima scioglie. La natura ha legato il corpo all'anima, l'anima
ha legato se stessa al corpo. L'anima si scioglie dal corpo: è questa la
morte filosofica? Dovrei credere che forse la morte non è la fine
dell'esistenza per l'uomo, poiché l'Esserci in quanto tale, non è mai la
propria morte.
Martin
Heidegger, diceva che la morte si rileva come la possibilità propria
perché concerne l'essere stesso dell'uomo. E' una possibilità
incondizionata perché appartiene all'uomo in quanto singolo, lo isola con
se stesso ed è purtroppo una certezza perché si connette all'aspetto
autentico dell'esistenza umana. E' nel riconoscere l'eventualità della
morte che l'uomo ritrova il suo essere e comprende se stesso? Forse si e
penso pure che questa comprensione, porta alla situazione emotiva
dell'angoscia. L'angoscia deriva dalla collocazione di noi davanti al
nulla. Ed è proprio questo che ora sto avvertendo: l'angoscia della morte.
Nella mia quotidianità “conosco” la morte come un evento che accade
continuamente, ma ciò che penso, forse banalmente, è che una volta o
l'altra si morirà, ma per ora, si è ancora vivi. Questo è un atteggiamento
proprio di un'esistenza inautentica e si svela nel modo di essere –
quotidiano – per – la – morte. Cosa è giusto? Trasformare la mia angoscia
in paura per un evento che sopravverrà? Non lo so. Mi sento una nullità di
fronte a questo concetto così alto.
Mi
tornano nella mente le parole che Giorgio mi dedicava ogni giorno, con un
tono che oscillava dal paterno all'amico del cuore. Insegnarmi a non
conservare niente per un'occasione speciale, ma capire che ogni giorno che
vivo è un'occasione speciale, è l'insegnamento che forse ho tratto
maggiormente dalla mia amicizia con lui. Viveva la vita come un insieme di
esperienze da godere, non per sopravvivere. Le frasi “un giorno..” e “uno
di questi giorni..” non appartenevano al suo vocabolario. Qualsiasi cosa
vale la pena vederla, ascoltarla o farla... Adesso!
Non sono sicura che cosa avrebbe fatto se avesse saputo che non sarebbe
stato qui per il domani che tutti prendiamo forse a volte alla leggera.
Credo che avrebbe chiamato i suoi familiari e gli amici intimi. Magari
avrebbe sentito alcuni vecchi amici per fare la pace per una possibile
lite passata. Sono queste piccole cose non fatte, che mi infastidirebbero
se sapessi che le mie ore sono contate. Infastidita perché spesso si
smette di vedere alcuni amici perché lo si può fare “un giorno”;
infastidita per non fare certe cose che molto probabilmente si ha
intenzione di fare “uno di questi giorni”.
Giorgio ci ha insegnato a non ritardare, trattenere o conservare niente
che aggiungerebbe risate ed allegria alle nostre vite. Io spero di essere
sempre in grado di mettere in pratica i suoi suggerimenti. Ci provo
Giorgio, te lo prometto! Ogni volta che tornerò al "Pala Baglioni" (come
lo chiamavi tu), tu sarai con me e non dimenticarti mai che mi manchi.
Tutto in un abbraccio... tra di noi...
...di seguito uno degli scritti di Giorgio
per noi...
Cagliari, 07/02/07
IL
BULLO
Non volevo più
parlare di uomini e cambiare argomento. Poi, dopo alcune recentissime
vicende, ho sentito la necessità di sottoporvi alcuni miei pensieri.
Da sempre
l'insicurezza ha prodotto, esemplificando, due grandi classi di persone:
quelle rifugiatesi nella timidezza e quelle divenute eccessivamente
aggressive nei confronti di chi, suo malgrado, è costretto alla loro
frequentazione. Probabilmente tutti noi abbiamo sperimentato e mal
sopportato, soprattutto nella scuola, la violenza verbale o fisica di
quanti erano poco propensi a rispettare il prossimo, aiutati dalla propria
indole e dalla palese approvazione di altri individui caratterialmente
deboli.
Alcuni episodi,
definiti con il termine di "bullismo", recentemente sono stati riportati
dalla cronaca perchè caratterizzati da violenze contro donne indifese e
contro ancora più indifese persone affette da gravissime disabilità.
Possiamo allora
riflettere sulla squallida assenza di valori che alimenta l'azione del
"bullo": costui, per sentirsi "capo branco", non esita a collocarsi in una
dimensione che ci fa pensare anche ad una sua condizione di labilità
psichica, la quale, comunque, impone una severa punizione, secondo le
vigenti leggi, ed un recupero alla convivenza civile.
Pur non credendo
che possa ripetersi una simile evenienza, ricordo che, in un passato non
troppo lontano, sono stati organizzati campi di sterminio dove, assieme
alle altre, le persone con disabilità subivano le più atroci sofferenze,
fino alla morte.
Ampliando
l'orizzonte, sono convinto che i tragici fatti, avvenuti in occasione di
partite di calcio, possano trovare origine in una sequenzialità che
annovera, tra le tante cose, la rinuncia ad assestare uno sculaccione ad
un bambino che esagera nei capricci, la mancanza di fermezza educativa
rivolta ad un adolescente e l'incertezza di una giusta punizione quando si
travalicano le regole democratiche.
Sicuramente tutti
dobbiamo interrogarci sull'effetto altamente diseducativo indotto da molti
programmi televisivi, da certe esplorazioni nel Web, da tanti esempi che
la quotidianità purtroppo ci elargisce. Però, nell'attesa di un rimedio,
la conoscenza dell'esistenza del male non deve costituire un alibi ed
un'autorizzazione a perseguirlo, nella convinzione di riuscire a sottrarsi
ad un meritato castigo.
Giorgio Giovanni Lai |