In genere, la comunicazione è in assoluto la chiave principale per aprire il mondo della relazione. La relazione con l’altro è già implicita nella stessa esistenza umana.

La consapevolezza della reciprocità, lo scambio e l’arricchimento di ciascuno, fanno emergere un clima particolare se unito alla mancanza di uno sguardo. In una realtà spesso senza nome, nella monotonia di un giorno qualunque, è bello potersi innamorare portando avanti il cuore e allontanando le illusioni che un semplice fattore estetico, può suscitare. E questa… E’ la caratteristica essenziale della Cecità. Per i non vedenti, l’amore è la potenza dell’istinto e del sentimento insita nell’uomo. Un sentimento che merita di essere vissuto fino in fondo e che proprio per questo contraddistingue chi vive veramente.

Seneca evidenziava l’importanza della solidarietà e dell’affetto, quando affermava che non bisogna stringere amicizia pensando solo a se stessi, ma trovare un rapporto privilegiato con gli altri, basato sull’amore reciproco e sulla gioia dell’acquisto. Si! Perché se si vuole essere amati, bisogna amare per primi! Penso che ogni non vedente, abbia dentro di sé una parte di questo filosofo perché emerge la sua integrità morale dove prevale la propria interiorità che è infallibile.

Sotto certi aspetti però, la cecità è vissuta come un percorso angoscioso, dove viene perso il senso puro e semplice della vita e dove la mancanza di interventi da parte delle strutture di riferimento, fanno si che la dignità, l’etica e il rispetto,vengono calpestati dall’indifferenza. Si dovrebbero promuovere di più momenti di incontro, eventi, viaggi;  elementi naturali del vivere sociale che però sono limitati sempre da quel problema che smuove la società e che purtroppo molto spesso, fa scatenare atti di follia: il denaro. In questo, le famiglie dei non vedenti, giocano un ruolo fondamentale ma alcune di esse sono caratterizzate dal concetto di vergogna. Essa raramente è accessibile alla riflessione e spero che l’unico motivo sia il desiderio di non offendere l’intelligenza. In determinate situazioni, il non vedente in questo caso, ma può essere benissimo il disabile, l’anziano in altri casi, diventano da parte dei loro “ cari ” ( le mie virgolette sono significative ), oggettualità, dove si può rivolgere la parola critica. Non posso e non voglio pensare, che la vergogna anche nella nostra epoca, diventa ciò che era per Sartre: riconoscimento. “ Io riconosco di essere come altri mi vede” e quindi sì vergogna, ma solo di fronte agli altri! Da qui può nascere l’arroganza, caratterizzata dalle lesioni interiori che l’ambiente ti scatena ed è scandaloso scoprire che molte persone che ti circondano appartengano a questa scuola di pensiero.

José Saramago, scrittore portoghese, in uno dei suoi romanzi più forti e difficili: “ Cecità “ scriveva: “ La cecità di cui parlo in questo libro in realtà non esiste, è metaforica. A me interessano gli uomini che si comportano da ciechi. Volevo raccontare la difficoltà che abbiamo a comportarci come esseri razionali, collocando un gruppo umano in una situazione di crisi assoluta. La privazione della vista è in un certo senso la privazione della ragione []. Quello che racconto in questo libro sta succedendo in qualunque parte del mondo in questo momento “. Ed io concludo dicendo di smettere di fingere di non vedere e iniziare invece a confrontarsi con gli orrori, le falsità di ogni giorno, che il Vero Non Vedente subisce grazie a noi.

Sabrina Panfili