Una immane tragedia consumata 500 anni fa nella giungla del centroamerica

 

APOCALYPTO

DI MEL GIBSON

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Titolo Originale: APOCALYPTO -

Regia: Mel Gibson - Interpreti:  Dalia Hernandez, Mayra Serbulo, Gerardo Taracena, Raoul Trujillo, Rudy Youngblood -Durata: h 2.19 -Nazionalità: USA 2006 -

Genere: avventura

Cronaca cinematografica di Roberto Allegri

 

Il nuovo film diretto da Mel Gibson è stato preceduto da un gran rumore circa la troppa violenza che sarebbe presente nella pellicola e del fatto che in Italia non sia stato vietato ai minori di 14 anni. Ma al di là delle polemiche sui giornali - indirizzate più che altro verso le commissioni che dovrebbero vietare o meno i film -  si è corso il rischio di etichettare col termine “troppo violenta” una prova di regia davvero straordinaria.

 

Gibson ha raccontato una storia come è solito fare, con la maestria che lo distingue. Nella giungla del centroamerica di 500 anni fa si consuma una tragedia. Un gruppo di guerrieri Maya attacca un pacifico villaggio di indios per catturare prigionieri da sacrificare al loro dio. Ma il giovane Zampa di Giaguaro riesce a fuggire, a tornare dalla sua famiglia e a vendicarsi degli assassini del suo clan

 

Questa, molto in breve, è la trama. Ci sono inseguimenti, battaglie, lotte a colpi di pugnali di selce e la tanto temuta scena del sacrificio umano. Ma non c’è un solo fotogramma violentemente gratuito. La violenza c’è, e si vede. Ma è quella pura, primitiva, basilare, propria delle culture tribali. Chi ha dipinto il modo di vivere delle tribù degli indios come un paradiso, un’idilliaca armonia con la natura, ha sbagliato. Certo, gli esseri umani vivevano in equilibrio col proprio ambiente ma era un ambiente duro e violento, irto di pericoli: belve feroci, insidie, popoli nemici pronti a massacrare per catturare schiavi. E di fronte a queste realtà si doveva fuggire oppure combattere con energia.

 

Questo dipinge Mel Gibson e lo fa senza paura né ipocrisia. Con le immagini e il suono dell’antica lingua maya, spiega i fondamenti della vita in una tribù, i fortissimi legami familiari e gli scherzi, le risate, a provare che il gioco tra amici esiste da sempre, anzi è tra le spinte fondamentali della costruzione delle civiltà.

 

Gibson descrive poi la distruzione, la guerra, l’arroganza di altri popoli che si considerano superiori e uccidono senza pietà. E proprio in questo aspetto sta la vera violenza del film. Nel rendersi conto che oggi, nel 2007, in alcuni Paesi nulla è cambiato dalla giungla di 500 anni fa. Esiste la stessa, terribile violenza del più forte verso il più debole, esiste la schiavitù, esiste la tortura, l’arroganza di distruggere famiglie, di annientare le persone. E’ una denuncia questa, fatta in modo trasversale, nascosto.

 

Il film è una lunga corsa, con il ritmo della battuta di caccia della scena d’apertura - che ricorda un po’ l’inizio de “L’ultimo dei Mohicani” di Michael Mann.  Una lunga corsa con il sottofondo di tamburi che non abbandona mai lo spettatore ma cambia solamente di tono plasmandosi attorno alle vicende di Zampa di Giaguaro. Gli interpreti, quasi tutti attori non professionisti, sono straordinari. Spicca ovviamente il protagonista, il giovane Rudy Youngblood, un pellerossa del popolo Cree, e anche Raoul Trujillo, attore e coreografo di origini apache, nella parte di uno spietato e orgoglioso generale Maya.

 

Superba la scena della città maya e della sua decadenza. Un popolo colorato e sapiente certo, che ha edificato immane piramidi di pietra. Ma Mel Gibson mostra anche l’altro aspetto della medaglia: dietro alla costruzione delle piramidi c’è l’orrore della condizione degli schiavi obbligati a scavare la pietra. E viene in mente il popolo d’Israele costretto a plasmare i mattoni con il fango nel film “I dieci comandamenti” di Cecil B. DeMille del 1956.

 

E’ tristemente riduttivo parlare di “Apocalypto” solo in riferimento alla violenza. Bisognerebbe prendere in esame altre pellicole, film dell’orrore di nuova generazione che si distinguono per le raccapriccianti scene di mutilazioni e torture. Film come la serie di “Saw” o “La casa del diavolo” di quel Rob Zombie considerato un genio del genere horror. Nel film di Mel Gibson la violenza serve per raccontare dell’equilibrio con la Natura che è fatto di vita e di morte. Ed è quella la violenza descritta, quella della lotta per la sopravvivenza. Il Male viene solo dagli altri uomini e mai dalla pantera o dal serpente velenoso nascosto tra il fogliame. Solo a causa dell’uomo l’armonia reale con la Natura, costituita di gioia e dolore, luce e buio, viene devastata. Dal desiderio di potere, dall’arroganza, dall’odio. Tutto si sfascia. Ed è questa l’apocalisse a cui fa riferimento il titolo. Nel film lo si comprende perfettamente alla fine: l’ultima immagine, mostra i “conquistadores” spagnoli giunti con le navi. L’inizio della fine.