Esistono
attori in grado di prendere un film, trasformarlo in una palla
solida di energia emozionale e lanciarla poi diretta al cuore degli
spettatori. Non sono molti, si contano sulle dita di una mano. Ed
Harris è uno di questi.
Cinquantasette anni, Harris colleziona candidature agli Oscar e ai
Golden Globe. Eppure viene spesso messo quasi da parte, a favore dei
soliti “mostri sacri” di cui sono piene le pagine dei giornali.
Così, nonostante la candidatura come miglior attore non
protagonista, ci si scorda della sua incredibile interpretazione nel
2002 del malato di AIDS nel film “The Hours”, interpretazione che a
mio avviso seppellisce quella tanto celebrata di Tom Hanks in “Philadelphia”.
Negli ultimi anni, Ed Harris sembra aver deciso di sondare l’animo
degli artisti. Nel 2000 ha prodotto, diretto e interpretato “Pollock”,
straordinaria pellicola sulla vita di Jackson Pollock, il geniale
pittore americano scomparso nel 1956, famoso oggi al grande pubblico
per le cifre da capogiro che hanno raggiunto i suoi quadri. Ora, Ed
Harris sonda l’animo di un altro artista immortale, del più grande
genio, insieme a Mozart, della storia della musica: Ludwig van
Beethoven.
Il film “Io e Beethoven” racconta gli ultimi anni della vita del
musicista quando, ormai completamente sordo, compone la “Nona
Sinfonia”. Ad aiutarlo, una giovane copista, interpretata dalla
bellissima e bravissima Diane Kruger, che gli resterà accanto fino
alla fine.
La musica che pervade il film, ovviamente, è quella di Beethoven e
anche solo per questa ragione vale l’ingresso in sala. In più, Ed
Harris si dimostra immenso. E’ stato scritto che in questo film ha
recitato “sopra le righe” ma io vorrei sapere come si può vestire i
panni di un genio come Beethoven
senza essere fuori dall’ordinario:
un genio puro, artista nel vero senso della parola e in più afflitto
dalla maledizione che ogni musicista teme più di ogni altra e cioè
l’impossibilità di sentire.
Un dramma, una lacerazione dell’anima
stessa che Harris riesce a trasmettere con lo sguardo, i cenni del
capo, il gesticolare energico e rozzo tipico del grande compositore
che era una presenza altamente “fisica” oltre che intellettuale. E
come era accaduto in “Pollock”, anche in questo film Ed Harris
comunica al pubblico l’essenza dell’arte che è la sofferenza, lo
struggimento, la difficoltà di riuscire a seguire lo scaturire
ininterrotto dei pensieri e dei progetti.