Si
è da poco conclusa la mostra antologica dedicata al pittore
Guglielmo Cirillo, artista che è un vanto per Castellamare di Stabia.
Nella cittadina napoletana infatti, Cirillo è nato, nel 1901, ed è
morto l’11 novembre del 1987, proprio vent’anni fa. Era tra l’altro,
un prozio del nostro direttore Tony Assante, che spesso lo ricorda
con grande affetto dato che il pittore aveva per lui, allora
bambino, una predilezione speciale.
Guglielmo Cirillo, in vita, pur essendo un tipo riservato e schivo,
ebbe grandi successi, esponendo in varie mostre soprattutto a
Milano, Torino, Venezia e Roma. Con i suoi quadri vinse importanti
riconoscimenti tra cui la “Medaglia d’Oro” alla II Biennale d’Arte
Contemporanea di Roma e tanti altri premi in Italia.
Lo
chiamavano “il pittore vagabondo”. E non esiste complimento migliore
per un artista. Chi si dedica all’arte è per forza “vagabondo”,
sulla terra e nello spirito. E’ un’anima inquieta, sempre in
viaggio, un cercatore. Anche quando passa la vita chiuso in uno
studio, il cuore e la fantasia dell’artista sono sempre perduti nel
mondo e nello spazio in cerca di forme, soluzioni, risposte e del
sistema per spegnere il fuoco creativo che sente ardere dentro di sè.
Come ad esempio il grande scultore rumeno Constantin Brancusi
(1876-1957), che trascorse gran parte della sua vita nel suo atelier
di Parigi, muovendosi pochissimo ma lavorando giorno e notte con
marmo, bronzo e legno, e compiendo un viaggio interiore talmente
profondo da essere considerato il fondatore dell’arte moderna.
Cirillo era un vagabondo dentro e fuori. Vagava alla ricerca della
perfezione di forme e colori dentro di sé ma anche tra i boschi e le
colline, la campagna e le rive dei fiumi, obbedendo
all’irresistibile richiamo della Natura, la maestra d’arte per
eccellenza. Cullato dai silenzi che solo in Natura si possono
trovare, Cirillo subiva lo stupore dell’uomo di fronte al Creato. Ed
essendo artista, avvertiva quindi l’urgenza di mettere sulla tela le
proprie emozioni. Non solo ciò che era di fronte alla vista. Ma
anche gli odori e i suoni e le sensazioni tattili come la carezza
del vento, particolari che si notano nell’energia delle sue
pennellate.
Questo
è ciò che colpisce a prima vista nei quadri di Cirillo. Vi si
vedono, in maniera nitida, le vergate del pennello e i colpi di
spatola, e sono la firma del vigore e della spontaneità
dell’artista. E’ come quando si scrive una poesia di getto, in modo
talmente passionale da lasciare veri e propri solchi sul foglio,
anche da spezzare la punta della matita. Ci sono occasioni in cui un
artista sente che ciò che ha dentro sta per eruttare violentemente e
tutto quello che può fare è tentare di assecondare, coi mezzi di cui
dispone, il miracolo del processo creativo. Una condizione che
Guglielmo Cirillo conosceva bene.
Come tutti gli autodidatti, Cirillo ha calpestato la strada dei
maestri venuti prima. Ha assorbito come una spugna il vedere dei
grandi del passato. Nei suoi dipinti vi è Monet, Manet e Cezanne, e
anche alcuni lati cupi tipici dell’espressionismo. Ma la scelta dei
colori e delle forme e soprattutto l’energia impressa ai quadri li
rendono unici.
Un
dipinto in particolare, tra quelli che sono stati esposti nella
mostra, ha colpito chi scrive.
Un ritratto di un vecchio
addormentato che nel titolo si apprende essere il padre di Cirillo.
E’ un’immagine intensa, sofferta e anche drammatica perché ritrae in
maniera spietata la debolezza della vecchiaia. Ma anche la sua
disarmante dolcezza. L’intimità di un figlio al capezzale
dell’anziano genitore, di un figlio artista che accarezza il padre
usando i pennelli con la riverenza di chi si trova di fronte alla
somma cruciale di tutta la vita

Galleria
Fotografica Mostra Antologica di Castellammare di Stabia
