
Strarodinaria storia vera di un boxer tigrato, nel racconto della sua
padrona.
E KEN SAPEVA TUTTO
Testo e foto di Di
Wally Danesin
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tonyassante.com
Sono convinta
che la mente dei cani (come anche quella degli umani) abbia ancora
molti angoli a noi sconosciuti, da esplorare, e chissà se mai
riusciremo a svelarli.
La storia che
voglio raccontare riguarda un argomento molto triste e cioè la
morte, ma credo non sia giusto che quello cui abbiamo assistito
rimanga solo nella memoria mia e dei miei famigliari.
Per 13
indimenticabili anni abbiamo condiviso la vita con uno splendido
boxer tigrato di nome Ken, esuberante e gioioso fino a poche ore
prima di lasciarci.
Una delle
persone cui era più affezionato era una mia quasi zia che non
essendo sposata viveva sola e che frequentavamo molto spesso: la
Mimy.
Ken stravedeva
per lei perché lo ricopriva di attenzioni e di coccole tanto che
conosceva esattamente la strada per casa sua e in auto, quando ci
avvicinavamo all’incrocio con la sua via, iniziava ad abbaiare e a
saltare freneticamente sul sedile posteriore. Poi, se la nostra
destinazione non era la casa della Mimy, appena si oltrepassava
dritti l’incrocio, invece che svoltare a destra, si calmava
immediatamente.
Un giorno, la
Mimy si ammalò molto gravemente e fu ricoverata in ospedale. In quei
giorni andavo spesso a casa sua per prenderle degli indumenti e a
volte c’era Ken con me che nel suo appartamento vuoto impazziva
cercandola in ogni angolo e dimostrando evidente delusione perché
non la trovava.
Purtroppo, la
malattia della Mimy era incurabile e dopo mesi di aggravamento lei
morì, il 26 dicembre.
E’ importante a
questo punto descrivere come mi venne comunicata la notizia. Quella
mattina, alle 7, portai Ken come al solito nel parco pubblico sotto
casa mia. Al ritorno, vidi che tutte le tapparelle del mio
appartamento erano alzate e capii che doveva essere successo
qualcosa se mio marito si era alzato così presto in un giorno
festivo. Salii le scale e sul pianerottolo trovai Gino che subito mi
disse che aveva telefonato Piero; questi era il fratello della Mimy
e a me non servirono altre parole perché capii tutto subito. Non
nominammo mai Mimy, ma ci vestimmo in fretta per andare a casa di
Piero. Percorremmo la solita strada e questa volta al fatidico
incrocio Ken se ne stette tranquillo seduto come se fosse una strada
per lui priva di significato.
Quella mattina
prestammo poca attenzione a questo fatto ma poi, nei giorni e nei
mesi successivi, ci accorgemmo che Ken da quel giorno si comportò
per sempre come se la Mimy per lui non fosse mai esistita.
Addirittura quando andammo più volte a casa sua per liberarla dai
mobili si comportò sempre come se quel luogo per lui fosse
sconosciuto, non la cercò mai più per le stanze.
Come fece Ken a
capire il concetto della morte? Ma soprattutto come percepì che la
Mimy si trovava ora in un’altra dimensione?
Tutto ciò non
era sicuramente casuale perché non finì così ma si ripropose in
un’altra situazione analoga.
Mia zia Ada
abitava, anche lei da sola, in una villetta vicina a casa dei miei
genitori. Ken giocava spesso con lei nel suo giardino e quando
passavamo a piedi davanti a casa sua si arrampicava con le zampe
anteriori sul muretto della recinzione per vedere se c’era la zia in
giardino. Ebbene, dal giorno stesso in cui la zia morì Ken non si
arrampicò mai più sul muretto quando passavamo lì davanti nè mai più
guardò dentro il cancello per cercarla.
Un giorno fui
curiosa di metterlo alla prova: passando davanti alla villetta gli
chiesi: “Dov’è la zia Ada?”, di solito a questa domanda reagiva
scalpitando e avventandosi contro il cancello perché voleva entrare
da lei. Quella volta restò molto tranquillo al mio fianco e alzò
verso di me uno sguardo così eloquente che mi fece rabbrividire.
Posso giurare che ciò che mi disse con gli occhi in quei pochi
secondi si potrebbe tradurre in questa frase: “Ma cosa mi chiedi;
sei stupida?”
Non ho mai
sentito nessuno raccontare esperienze simili vissute con i loro cani
ma a me è successo per ben due volte e quindi tutto ciò non può
essere privo di significato, solo che noi non lo conosciamo.
Wally Danesin