
La storia della nascita di Gesù in un bel film della
regista texana Catherine Hardwicke
COME UNA LUCE
CHE SCENDE
DAL CIELO
Copyright
© 2004 editorialegliolmi.it
tonyassante.com
Cronaca cinematografica di Roberto
Allegri
Film
di
Catherine Hardwicke,
con
Shohreh Aghdashloo,
Keisha Castle-Hughes,
Eriq Ebouaney,
Ciarán Hinds,
Oscar Isaac,
Matt Patresi,
Ted Rusoff.
Genere
Drammatico,
colore, 101 minuti. Produzione USA
2006.
C’è poesia nel film “Nativity”. C’è un intreccio di luce pacata e
volti maestosi, di scenari naturali e parole che commuovono. Un film
che agita i sentimenti e non solo perché si tratta – per citare un
vecchio film di George Stevens sulla vita di Gesù – de “La più
grande storia mai raccontata”.
Il
film, diretto dalla regista texana Catherine Hardwicke, è fedele al
racconto evangelico della nascita di Gesù. Poche le interpretazioni
personali sulla storia che parte dall’annunciazione dell’angelo,
prosegue con il lungo viaggio di Maria e Giuseppe verso Betlemme,
coinvolge la ricerca dei Magi e la crudeltà di re Erode, e sfocia
nel mistero della nascita di Cristo. Il tutto in un crescere di
emozioni giocato sulla bravura dei due attori principali. Si resta
colpiti dall’intensità dello sguardo di Giuseppe, interpretato dal
bravissimo Oscar Isaac, un guatemalteco di origini israeliane
studente della Julliard School, e dalla determinazione di Maria,
ossia della sedicenne attrice australiana Keisha Castle-Hughes. Va
segnalato anche il viso spietato reso di pietra dal desiderio di
potere di re Erode, impersonato dall’irlandese Ciaràn Hinds.
Molto emozionante è l’incontro di Giuseppe e Maria con il vecchio
pastore alle porte di Betlemme (l’attore canadese Ted Rusoff che ha
recitato anche ne “La passione di Cristo” di Mel Gibson). Il pastore
confessa di avere aspettato tutta la vita un dono da Dio ma di non
averlo ancora ricevuto. Lo avrà proprio alla fine: potrà vedere il
Redentore appena nato. E la scena ricorda il dialogo tra Ben Hur e
il re magio Baldassarre nel pluripremiato film di William Wyler del
1959.
L’apice
del film è ovviamente la nascita di Gesù, nella misera stalla.
L’immagine allora diventa simbolo e si va oltre la scena
cinematografica per assistere ad un messaggio che non ha età.
Tutto è tenue, pacato. Il buio è tagliato dalla luce che proviene
dall’alto, dalla stella che ha guidato fino a Betlemme i tre Magi.
Non ci sono parole tra Giuseppe e Maria ma solo sguardi, intensi. In
sottofondo la musica che sembra anch’essa scaturire dalla luce che
scende dal cielo.
Si tratta dell’ennesimo film sulla nascita di Cristo, hanno scritto.
E la domanda è stata: c’è bisogno di un film come questo? La
risposta è semplice: Sì.
Al di là della presunta ondata di orgoglio cattolico che ha
investito gli USA e di cui hanno parlato i giornali, c’è sempre un
gran bisogno di film del genere. In un panorama in cui impazzano
pellicole con torture atroci, maniaci sadici armati di trapano,
demoni e mostri assetati di sangue, quando un film si basa su
sentimenti semplici, puliti, sulle emozioni è sempre bene accetto.
Il film di Catherine Hardwicke accende lo spirito natalizio che
negli ultimi anni – si dice per paura di sembrare ridicoli e vorrei
sapere proprio perché – si è affievolito. Uno spirito che mette
desiderio di presepe, di ritorno ai piccoli propositi, ad un cuore
di bambino colmo di emozione e di speranza.
