La storia della nascita di Gesù in un bel film della regista texana Catherine Hardwicke

 

 

COME UNA LUCE

 

CHE SCENDE

 

DAL CIELO

 

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Cronaca cinematografica di Roberto Allegri

 

Film di Catherine Hardwicke, con Shohreh Aghdashloo, Keisha Castle-Hughes, Eriq Ebouaney, Ciarán Hinds, Oscar Isaac, Matt Patresi, Ted Rusoff. Genere Drammatico, colore, 101 minuti. Produzione USA 2006.

C’è poesia nel film “Nativity”. C’è un intreccio di luce pacata e volti maestosi, di scenari naturali e parole che commuovono. Un film che agita i sentimenti e non solo perché si tratta – per citare un vecchio film di George Stevens sulla vita di Gesù – de “La più grande storia mai raccontata”.

Il film, diretto dalla regista texana Catherine Hardwicke, è fedele al racconto evangelico della nascita di Gesù. Poche le interpretazioni personali sulla storia che parte dall’annunciazione dell’angelo, prosegue con il lungo viaggio di Maria e Giuseppe verso Betlemme, coinvolge la ricerca dei Magi e la crudeltà di re Erode, e sfocia nel mistero della nascita di Cristo. Il tutto in un crescere di emozioni giocato sulla bravura dei due attori principali. Si resta colpiti dall’intensità dello sguardo di Giuseppe, interpretato dal bravissimo Oscar Isaac, un guatemalteco di origini israeliane studente della Julliard School, e dalla determinazione di Maria, ossia della sedicenne attrice australiana Keisha Castle-Hughes. Va segnalato anche il viso spietato reso di pietra dal desiderio di potere di re Erode, impersonato dall’irlandese Ciaràn Hinds.

Molto emozionante è l’incontro di Giuseppe e Maria con il vecchio pastore alle porte di Betlemme (l’attore canadese Ted Rusoff che ha recitato anche ne “La passione di Cristo” di Mel Gibson). Il pastore confessa di avere aspettato tutta la vita un dono da Dio ma di non averlo ancora ricevuto. Lo avrà proprio alla fine: potrà vedere il Redentore appena nato. E la scena ricorda il dialogo tra Ben Hur e il re magio Baldassarre nel pluripremiato film di William Wyler del 1959.

L’apice del film è ovviamente la nascita di Gesù, nella misera stalla. L’immagine allora diventa simbolo e si va oltre la scena cinematografica per assistere ad un messaggio che non ha età. Tutto è tenue, pacato. Il buio è tagliato dalla luce che proviene dall’alto, dalla stella che ha guidato fino a Betlemme i tre Magi. Non ci sono parole tra Giuseppe e Maria ma solo sguardi, intensi. In sottofondo la musica che sembra anch’essa scaturire dalla luce che scende dal cielo.

Si tratta dell’ennesimo film sulla nascita di Cristo, hanno scritto. E la domanda è stata: c’è bisogno di un film come questo? La risposta è semplice: Sì.

Al di là della presunta ondata di orgoglio cattolico che ha investito gli USA e di cui hanno parlato i giornali, c’è sempre un gran bisogno di film del genere. In un panorama in cui impazzano pellicole con torture atroci, maniaci sadici armati di trapano, demoni e mostri assetati di sangue, quando un film si basa su sentimenti semplici, puliti, sulle emozioni è sempre bene accetto. Il film di Catherine Hardwicke accende lo spirito natalizio che negli ultimi anni – si dice per paura di sembrare ridicoli e vorrei sapere proprio perché – si è affievolito. Uno spirito che mette desiderio di presepe, di ritorno ai piccoli propositi, ad un cuore di bambino colmo di emozione e di speranza.