Cent’anni fa, il generale Baden Powell fondava in Inghilterra gli Scout.  Ce ne parla don Francesco Marconato, Assistente ecclesiastico del movimento in Italia.

UN ESERCITO DI 40 MILIONI DI GIOVANI SPARSI IN 250 NAZIONI

 

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Siamo nell’anno centenario della fondazione del movimento Scout e Guide. Un movimento di cui si parla poco, ma che è una delle iniziative più concrete e efficienti nel campo educativo a livello mondiale. Attualmente, gli iscritti a questo movimento, ragazzi e giovani compresi tra gli 8 e i 21 anni, formano un esercito di 40 milioni di unità, sparse in oltre 250 Nazioni.

Ma perché questo movimento, così massiccio e importante, che dimostra una straordinaria efficienza anche dopo cent’anni di vita, interessa poco l’opinione pubblica nel senso che è trascurato dai media? Perfino nel corso di questo 2007, anno centenario della fondazione, giornali, radio, televisioni vi dedicano poca attenzione, anche se le iniziative per celebrare l’evento si susseguono numerose? Lo abbiamo chiesto a un sacerdote, don Francesco Marconato, assistente ecclesiastico generale dell’AGESCI, l'Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani

<<Premetto>>, dice don Francesco con giusto orgoglio <<che appartengo al movimento Scout dall’età di sette anni.  Il regolamento scautistico prevede che l’entrata nel primo gruppo del movimento, i lupetti, avvenga non prima degli otto anni.  Per me si fece un’eccezione e fui ammesso con un anno di anticipo. Credo di costituire un caso rarissimo. Ho fatto tutto il tirocinio previsto, fino ai 21 anni. E poi sono rimasto nel movimento come educatore, maturando, in quel periodo, la mia vocazione al sacerdozio. Ma anche durante il periodo del seminario e poi da sacerdote ho continuato a prestare la mia assistenza ai vari gruppi di scout delle parrocchie dove ho svolto il mio ministero, e nel 2003 mi hanno affidato l’incarico di Assistente ecclesiastico generale.

<<Lei mi chiede perché i media si interessano poco alle vicende di questo movimento. Penso lo facciano per due ragioni. Primo, perché, lo Scoutismo non offre spunti pubblicitari. E’ un movimento che non si mette in mostra. I valori si vivono e non si proclamano. Il vero scout mira ad  “essere”, non tanto “apparire”. E poi il metodo scautistico lavora nelle piccole cose, nella quotidianità, senza enfatizzare, proprio perché la vita quotidiana è fatta di avvenimenti semplici e non clamorosi. Mentre i media, soprattutto nel nostro tempo, sembrano non avere altro interesse che le cose eclatanti. Proprio l’opposto del nostro spirito, quindi tra noi e loro non ci possono essere molti punti di contatto>>.

Lei ha trascorso la vita negli Scout. Ce ne può tracciare sinteticamente la storia e gli ideali?

<<Il movimento scout è stato fondato da un uomo d’armi, il generale inglese Sir Robert Stephenson Baden-Powell, nato a Paddington, Londra, il 22 febbraio 1857,  e morto a Nyeri, Kenya, l’8 gennaio 1941. A 50 anni, dopo aver raggiunto i massimi gradi nell’esercito inglese ed essere diventato un eroe nazionale, volle cambiare vita dedicandosi all’educazione dei giovani. Mise a punto un metodo pedagogico che aveva sperimentato con i giovani soldati dell’esercito. Lui, uomo d’armi, voleva diffondere nelle nuove generazioni la ricerca della pace tra i popoli e le nazioni. Con il suo metodo educativo mirava a dare ai giovani formazione del carattere, abilità manuale, salute e forza fisica in modo da poter essere uomini liberi e bravi cittadini a servizio del prossimo>>.

Che significa la parola Scout?

<<E’ un termine inglese che significa “esploratore”. Quando era in India, Baden Powell, si accorse che i suoi soldati  erano annoiati e tristi. Il clima umido e malsano rovinava il loro fisico. La monotonia della vita di guarnigione infiacchiva il loro spirito. E così, per tenerli occupati, interessati e in buona salute, inventò lo  "scouting", termine che significa “ricognizione”. Organizzava i suoi soldati in pattuglie,  che accompagnava egli stesso nelle foreste insegnando a  osservare e a interpretare le tracce lasciate sul terreno da animali e uomini. In questo modo, interessava le loro intelligenze, il loro spirito di osservazione e allenava i loro corpi con lunghe e faticose camminate. E nello stesso tempo preparava soldati addestrati a  prevenire attracchi improvvisi o agguati.  Il metodo funzionò alla perfezione e Baden Powell raccolse quelle sue esperienze in un libretto.

<<Quando, in seguito, pensò di fondare il suo movimento educativo, si ricordò di quelle esperienze e dell’entusiasmo con cui i suoi soldati si applicavano allo “scouting”, per questo scelse il termine “scout” per indicare gli aderenti al movimento>>.

Ci furono delle ragioni specifiche che indussero Baden Powell a fondare il movimento?

<<Tornato in patria, al termine della sua carriera militare, Baden Powell vedeva con amarezza che i giovani di Londra erano debosciati, annoiati, oziosi, pigri, privi di ideali, dediti all’alcol, e per ammazzare il tempo praticavano divertimenti stupidi e anche nocivi. Aveva nostalgia dei suoi soldati, così come li aveva educati lui, disciplinati, attivi, decisi, pronti al sacrificio. E si ricordò anche di un’altra bella esperienza della sua carriera di soldato fatta nel 1899 in Africa. Si trovava nella cittadina di Mafeking, che venne attaccata dai Boeri. Baden Powell aveva un migliaio di soldati, mentre i Boeri erano in dieci mila. Ricorrendo ad astuzie e stratagemmi, riuscì a resistere per sette mesi, fino all’arrivo delle forze inglesi. Uno degli stratagemmi adottati per sfruttare al massimo i suoi soldati fu quello di affidare tutti i compiti ausiliari, come staffette, postini, piantoni eccetera ai ragazzi. In quel modo i soldati potevano dedicarsi solo alla difesa della città. E Baden Powell fu estremamente colpito dal fatto che quei ragazzi, sentendosi responsabilizzati, affrontavano i compiti loro assegnati con una serietà e un entusiasmo incredibili. Nel 1907, pensando ai ragazzi di Mafeking, ebbe l’idea di dare, ai giovani londinesi annoiati e oziosi, dei compiti, degli ideali, delle responsabilità. E insieme decise di toglierli, periodicamente, dalla malsana vita della città per portarli tra la natura, nei boschi, nelle campagne, dove poter praticare lo “scouting”. Mise insieme le due esperienze fatte con i suoi soldati in India e con i ragazzi a Mafeking, in Africa e l’esperimento ebbe subito grande successo e nacque lo scoutismo>>.

Come fu accolta, dalla società di allora, questa sua iniziativa in campo educativo?

<<Prima di tutto, come una grande novità. E, quindi, con entusiasmo e attenzione. E poi, come un’intuizione geniale, che portava un vento di freschezza e di vitalità ai metodi educativi in corso. Il movimento si diffuse con una rapidità incredibile. Nell’agosto del 1907 ci fu il primo esperimento nell’isola di Brownsea, nel canale della Manica, e dopo tre, quattro anni c’era già un’esperienza simile in altre nazioni e anche in Italia. Questa celere diffusione di un metodo educativo dimostrava che l’idea era vincente. Erano anni di fermenti pedagogici. Erano in atto anche altri metodi educativi, quello per esempio della Montessori.  Lo scoutismo nasceva dentro un humus che era di ricerca, ma si affermò rapidamente e massicciamente per il fatto che toccava la fantasia e il sentire dei giovani. Era in perfetta sintonia con la loro mentalità e, infatti, dopo un secolo continua ad affascinare>>.

Quando si parla di Scout, vengono citano nomi e termini rispondenti ai vari gradi del tirocinio. Vuole spiegarci come è articolata l’organizzazione del movimento?

<< Il fulcro originario della vita degli scuot è il “gruppo”. Il quale è diviso in vari settori, a seconda dell’età: dagli 8 agli 11 anni, “lupetti” (i maschi) e “coccinelle” (le femmine), che si riunisco in “branco”; dagli 11 ai 16 anni, “esploratori” e “guide, che si riuniscono nel “reparto”; dai 16 ai 21, “rover” e “scolte” che si riuniscono in comunità formate da un primo momento chiamato “noviziato” e da un secondo chiamato “clan” se maschile, “fuoco” se femminile, “clan-fuoco” se misto.  E poi ci sono “i capi”.

<<Tutti questi settori sono indispensabili per dar vita al “gruppo”.  Vari gruppi formano una “zona”, che deve mantenere quelle dimensioni che consentono ai gruppi di rimanere in contatto tra loro in modo da potersi conoscere e poter fare un cammino insieme. Più “zone”, formano una “regione”. E sopra questa complessa struttura vi è un comitato nazionale con due presidenti, che sono chiamati a portare avanti il cammino dell’Associazione, e altri incaricati ai vari livelli, per le varie fasce d’età, o per le varie necessità, tra cui quella della formazione dei capi>>.

Al termine del tirocinio, cioè dopo i 21 anni, cosa diventa lo scout?

<<Il ciclo educativo è finito. A quel punto, per gli scout c’è la “partenza”. La cosa strana sta nel fatto che la “partenza” dovrebbe essere all’inizio di un percorso. Per gli scout è alla fine. Il percorso serve a preparare la “partenza”, che è l’inizio di un nuovo modo di vivere, con gli ideali imparati e praticati nel corso dell’esperienza scoutistica. Significa che i giovani hanno assimilato quanto dovevano per essere delle persone formate secondo l’ideale del movimento, pronte quindi ad entrare nella società e impegnarsi per rendere il mondo migliore.

<<Uno di questi impegni, potrebbe essere anche il servizio di educazione nello stesso movimento e allora chi sceglie questa strada si prepara per entrare nella categoria dei “capi”. E’ un vero e proprio “status”. Una comunità, in cui si condivide un progetto educativo diventando corresponsabili dell’educazione dei ragazzi. Secondo le nostre convinzioni, si educa non tanto con quello che si fa, o con quello che si dice, quanto invece con quello che si è. Quindi, con la propria testimonianza personale. Questo comporta una grande responsabilità. Per cui il “capo”, per diventare tale, deve seguire tutto un cammino formativo formalizzato a questo ideale. Ed è un cammino impegnativo perché richiede vari anni di percorso, con un primo campo scuola di formazione metodologica, seguito da almeno un anno di servizio per esperimentarsi e confrontarsi con i ragazzi; poi, un secondo campo scuola di formazione associativa seguito ancora da un anno di servizio per masticare sul campo le cose che si sono apprese. E, infine, arriva la nomina a capo. Il capo, quindi, quello che ha ricevuto la nomina dall’associazione, è un adulto che ha fatto tre, quattro anni di cammino formativo>>.

Quali sono le virtù, le caratteristiche, le doti spirituali e umane di un giovane che ha percorso tutto il tirocinio nel vostro movimento?

<<Come ho già detto, al termine del tirocinio scoutistico vi è la “partenza”, che è l’obiettivo finale del movimento. Ebbene, l’uomo e la donna della “partenza”, sono individui formati, non solo persone che hanno appreso dei valori, ma che li praticano, che li hanno assimilati e che sono diventati la sostanza della loro esistenza. I loro atteggiamenti di fondo sono: sguardo positivo sulla realtà del mondo e della vita; ottimismo; capacità di affrontare le situazioni, qualsiasi esse siano, con atteggiamento di gioco, gioco inteso nel senso di chi sfida al positivo la realtà, di chi si sente chiamato a portare un cambiamento nella realtà ma senza prendere paura; atteggiamento di sorriso: uno dei punti della legge scout dice: “Lo scout sorride e canta anche nelle difficoltà”.  Non vengono negate le difficoltà della vita, ma si insegna ad affrontarle con ottimismo e speranza. E poi, una grande fiducia  nella bontà della persona, nelle potenzialità della persona e sulle sue  possibilità di riscattarsi, di poter essere protagonista della propria vita, di saper darsi delle mete, e di poterle raggiungere. E infine, altruismo, attenzione all’altro, desiderio di farsi carico dell'altro. Baden Powell diceva: “Bisogna essere competenti per servire”. Formare il proprio carattere, formare anche il proprio fisico perché se c’è una necessità io devo essere in grado di affrontarla e vincerla. Tutto il gioco dello scoutismo, che è fatto anche di nodi, di pionieristica, di montare le tende, di sapersela cavare nelle situazioni più strane, è un gioco per i ragazzi, un’avventura, ma anche una scuola, un elemento accattivante, un elemento trainante, ricompreso, mano a mano che si cresce, dentro la logica del servizio: diventare competente, per essere in grado di servire con efficienza>>.