Ho
perduto un caro amico. Il mio cagnolino Ricky, il meticcio di cui ho
scritto anche nella pagine del “Faustino”, ha perso la battaglia con
la sua malattia. Da molto tempo aveva il cuore malandato. Stava
talmente male che il veterinario, quando lo auscultava, restava
sempre allibito. <<Non so come faccia ad essere ancora vivo>>,
diceva. Io sì che lo sapevo. Era l’amore sconfinato che io e mia
moglie gli riversavamo addosso. Amore a tonnellate. La più forte
delle medicine.
Da
quando Ricky si è ammalato, io e Cristina abbiamo completamente
annullato la nostra vita per stargli vicino. Per tre anni non siamo
mai usciti di casa la sera, proprio per evitare che lui si agitasse.
Era fragile come la fiamma di una candela, bastava un soffio perché
si spegnesse e noi non volevamo correre il rischio di perderlo per
essere andati al cinema o a cena da qualche amico. I nostri impegni,
anche quelli di lavoro, ruotavano attorno a lui. Si faceva sempre in
modo di tornare a casa presto e come ci siamo riusciti in ogni
occasione, ancora non lo so.
Sacrifici
per lui ne abbiamo fatti a non finire ma mai ci siamo lamentati:
Ricky aveva bisogno di noi. Punto e basta! Le critiche che ci sono
piovute addosso in questi anni, abbiamo smesso di contarle. Venivano
da persone che però non riuscivano a capire la ricchezza del nostro
gesto. Ed era impossibile cercare di spiegare loro quanto stessimo
ricevendo in cambio. Abbiamo perso amici, increduli che si potesse
sacrificare la propria vita per un cane. Questi amici, li abbiamo
lasciati andare. Forse li incontreremo più avanti, chissà. Ma altri
ne abbiamo trovati, gente in grado di comprendere e di dare
incoraggiamento. A loro, un grande abbraccio.
Adesso tutto è finito.
I
primi tempi senza Ricky sono stati terribilmente vuoti. Era il
centro di ogni cosa. Ci siamo ritrovati orfani. Ma un giorno alla
volta, abbiamo imparato ad accettare lo svolgersi della vita. Certi
della ricchezza del suo ricordo.
Ora Ricky riposa sotto un salice, in un punto dal quale si può
vedere l’intera valle. I rami dell’albero, gli stessi che servono
per legare i tralci della vigna, sfiorano la terra dove è sepolto e
sembrano dargli una carezza.