
Chiamo i miei cani, li voglio vicino e godere della loro compagnia
mentre guardo il tramonto. Loro accorrono, in un turbine di coda.
Restano un po’ con me, poi sono distratti da un trattore che passa
sulla strada, giù nei pressi della vigna. Allora partono abbaiando
ma io li fermo con la voce: “No! Lasciate stare! Qui!”. Wagner e
Azucena mi obbediscono all’istante. So che lo fanno per
accontentarmi.
Non domando altro ai miei cani. Non dò loro comandi nè pretendo che
facciano giochetti o acrobazie. Chiedo solo alcune cose come farei
con qualsiasi altro amico, con gentilezza. E lascio che siano loro a
decidere se rispondere o meno. Li ho educati in questo modo.
Quando si parla di addestrare il cane si sentono spesso parole come
“disciplina” e “fermezza”, termini che, insieme ai comandi impartiti
in lingua tedesca, tendono a dare una veste un po’ militare al
rapporto col proprio animale. La disciplina è importante anche
quando si educa un bambino, ma non si deve esagerare: al cane si può
insegnare qualsiasi cosa anche semplicemente parlandogli e
trattandolo con dolcezza, senza per forza gridargli ordini come un
sergente maggiore.
Fin da quando è cucciolo,
il
cane vede nell’uomo una figura paterna, un membro del branco di
rango superiore. E in questo sta molta parte della “magia”
dell’attaccamento al padrone, che viene così considerato con il
rispetto che, in un branco allo stato selvatico, avrebbe il maschio
dominante. Ma per farsi obbedire dal proprio animale non serve
alzare le mani o la voce, sistemi che tendono ad instillare in lui
solo il timore. E’ sufficiente un’occhiata in tralice o uno sguardo
fisso per pochi istanti, proprio come farebbe un cane adulto con un
cucciolo troppo invadente. Ciò che si ottiene comportandosi così,
“da cane”, e non da energumeno manesco è strabiliante.
I cani sanno leggere sul nostro viso come noi leggiamo le pagine di
un libro. E’ un comportamento istintivo, il loro normale modo di
comunicare. La rabbia, la paura, il dolore, la preoccupazione, tutti
gli stati d’animo insomma, alterano i nostri lineamenti, in modo
impercettibile per noi ma molto nitido per un cane. Quindi,
un’espressione contrariata è mille volte più efficace di qualsiasi
manrovescio, che per un cane è solamente un attacco fisico e
nient’altro. Ecco perché quando ha commesso qualcosa di sbagliato il
cane ha quella che si definisce “aria da colpevole”.
Lui
però non sa di aver sbagliato ma è lo stesso intimorito dalla nostra
espressione arrabbiata. Sta con le orecchie abbassate e la coda tra
le gambe nel tentativo si smorzare la nostra aggressività, ma senza
aver coscienza del perché siamo adirati con lui. In queste
condizioni, se lo picchiamo aumentiamo in modo devastante la sua
angoscia. La punizione, mai fisica è bene ripeterlo, deve avvenire
pochissimi secondi dopo l’azione sbagliata. Trascorso questo breve
tempo, è impossibile per il cane collegare il suo comportamento con
il rimprovero.
Prendiamo ad esempio un cucciolo che ha fatto pipì in casa. E’
importante insegnargli che deve sporcare fuori, in giardino ma usare
la forza è sbagliato. Sento ancora qualcuno dire che bisogna
“mettergli il muso dentro” e sgridarlo perché capisca come “stare al
mondo”. Assurdità. Si deve invece fare finta di niente e aspettare
la prossima volta per coglierlo sul fatto. Allora, si deve
pronunciare un “NO!” secco, e assumere un’espressione seria e dura.
Il cucciolo capirà all’istante. Tutto qui, non c’è bisogno di
giornali arrotolati per picchiarlo o di strattoni per la collottola.
Il segreto è vivere in armonia con il cane. Vedere in lui un
fratello minore o un figlio, non un essere inferiore sul quale
imporsi. Le persone nervose, sempre arrabbiate e che perdono
facilmente il controllo, dovrebbero essere le ultime a possedere un
animale. Ce lo insegna anche il grande Konrad Lorenz.
In
un suo libro, il premio Nobel, scomparso nel 1989, racconta di
quando il suo cane lo morse involontariamente. L’animale stava
litigando con un altro cane e quando Lorenz lo afferrò per
separarlo, lui si girò mordendo, pensando di essere attaccato alle
spalle. Subito si accorse di aver ferito il padrone e di colpo
assunse un’espressione così affranta che Lorenz pensò stesse per
avere un infarto. Nonostante perdesse sangue da una mano, Lorenz si
mise ad accarezzare il suo animale, parlandogli dolcemente, cercando
di spiegargli che non era successo nulla, che non era arrabbiato con
lui. Il cane restava immobile, tremando come una foglia, e solo dopo
insistenti attenzioni si calmò. Ho sempre pensato che in questo
episodio ci sia un mondo intero da imparare.
Parlando di disciplina, vorrei anche dire qualcosa riguardo
all’abitudine di alcuni addestratori di fare uso di collari
elettrici. Sono aggeggi molto simili a strumenti di tortura che
infliggono al cane una dolorosa scarica elettrica. Vengono
utilizzati per “farsi obbedire”, facendo leva sulla sofferenza per
ottenere ciò che si vuole.
<<Cani addestrati con i collari elettrici sono le vittime di una
violenza che, in maniera legittimata, viene attuata ogni giorno>>,
dice Walter Caporale, presidente degli Animalisti Italiani. <<E’ una
pratica che produce ogni anno circa 150 mila cani addestrati alla
difesa, all’attacco, per la caccia e anche per i combattimenti.>>
<<E’ completamente assurdo pensare di addestrare un cane con un
collare elettrico>>, mi ha detto Ferruccio Pilenga fondatore della
Scuola Italiana Cani da Salvataggio. <<Con sistemi del genere invece
si ottiene l’effetto contrario. Gli animali rendono sempre meno.>>
Pilenga è uno che di cani se ne intende. Abbiamo visto le
emozionanti immagini dei suoi cani nella sezione “Foto dal mondo”
nel mese di settembre, e si può leggere la sua storia nella
“Confraternita del Bau” in “Bagnini a quattro zampe”. I cani di
Ferruccio Pilenga, che sono famosi in tutto il mondo, vengono
addestrati con la dolcezza e l’armonia. <<Col cane si deve parlare,
non forzarlo ad agire sotto la pressione di qualcosa che lo
terrorizza>>, afferma Pilenga. <<Se un cane lo desidera davvero, può
fare quasi di tutto anche lanciarsi nel mezzo di un tempesta e
nuotare tra le onde, come imparano a fare i nostri animali. Ma un
cane addestrato con l’elettricità, con il dolore, obbedisce solo per
paura. E’ una pura follia. Purtroppo, nel mondo della cinofilia
esistono realtà drammatiche. Ci sono gare in cui conta solo chi
arriva prima ed è impensabile il secondo posto. Allora accade come
nello sport quando si fa ricorso al doping: tutti i
mezzi
diventano leciti pur di ottenere il risultato. In queste gare si fa
qualsiasi cosa pur di farsi obbedire dal cane, anche usare la
violenza e la tortura. Ma non è così che si instaura un rapporto con
l’animale. Non è seguendo le vie più brevi che si possono utilizzare
le doti di questa straordinaria creatura. Il metodo corretto
comporta i premi. Quando il cane si comporta bene, lo si premia, gli
si dà un regalo. Ma questo non significa necessariamente dargli del
cibo. Il premio è tutto quello che fa piacere al cane dalla
leccornia al giocattolo, dalla carezza alla prospettiva di giocare
con altri cani. Così non si forza l’animale ma si sfrutta il suo
desiderio di rendersi utile e di divertirsi. I cani ci amano e si
fidano di noi. Non meritano la nostra ignoranza. Ricordo una
leggenda degli indiani Navajo. Dice che un giorno il Grande Spirito
tracciò col dito il Grand Canyon per separare gli uomini dagli
animali. Ma il cane volle rimanere con le persone per far loro da
compagno. Purtroppo molta gente tradisce questa antica amicizia. E’
un vero peccato.>>

Foto di
Nicola ALLEGRI
|