AMORE E ARMONIA: ECCO I SEGRETI PER EDUCARE IL CANE

di Roberto Allegri

Copyright © 2004  editorialegliolmi.it   tonyassante.com 

 

Chiamo i miei cani, li voglio vicino e godere della loro compagnia mentre guardo il tramonto. Loro accorrono, in un turbine di coda. Restano un po’ con me, poi sono distratti da un trattore che passa sulla strada, giù nei pressi della vigna. Allora partono abbaiando ma io li fermo con la voce: “No! Lasciate stare! Qui!”. Wagner e Azucena mi obbediscono all’istante. So che lo fanno per accontentarmi.

Non domando altro ai miei cani. Non dò loro comandi nè pretendo che facciano giochetti o acrobazie. Chiedo solo alcune cose come farei con qualsiasi altro amico, con gentilezza. E lascio che siano loro a decidere se rispondere o meno. Li ho educati in questo modo.

Quando si parla di addestrare il cane si sentono spesso parole come “disciplina” e “fermezza”, termini che, insieme ai comandi impartiti in lingua tedesca, tendono a dare una veste un po’ militare al rapporto col proprio animale. La disciplina è importante anche quando si educa un bambino, ma non si deve esagerare: al cane si può insegnare qualsiasi cosa anche semplicemente parlandogli e trattandolo con dolcezza, senza per forza gridargli ordini come un sergente maggiore.

Fin da quando è cucciolo, il cane vede nell’uomo una figura paterna, un membro del branco di rango superiore. E in questo sta molta parte della “magia” dell’attaccamento al padrone, che viene così considerato con il rispetto che, in un branco allo stato selvatico, avrebbe il maschio dominante. Ma per farsi obbedire dal proprio animale non serve alzare le mani o la voce, sistemi che tendono ad instillare in lui solo il timore. E’ sufficiente un’occhiata in tralice o uno sguardo fisso per pochi istanti, proprio come farebbe un cane adulto con un cucciolo troppo invadente. Ciò che si ottiene comportandosi così, “da cane”, e non da energumeno manesco è strabiliante.

I cani sanno leggere sul nostro viso come noi leggiamo le pagine di un libro. E’ un comportamento istintivo, il loro normale modo di comunicare. La rabbia, la paura, il dolore, la preoccupazione, tutti gli stati d’animo insomma, alterano i nostri lineamenti, in modo impercettibile per noi ma molto nitido per un cane. Quindi, un’espressione contrariata è mille volte più efficace di qualsiasi manrovescio, che per un cane è solamente un attacco fisico e nient’altro. Ecco perché quando ha commesso qualcosa di sbagliato il cane ha quella che si definisce “aria da colpevole”. Lui però non sa di aver sbagliato ma è lo stesso intimorito dalla nostra espressione arrabbiata. Sta con le orecchie abbassate e la coda tra le gambe nel tentativo si smorzare la nostra aggressività, ma senza aver coscienza del perché siamo adirati con lui. In queste condizioni, se lo picchiamo aumentiamo in modo devastante la sua angoscia. La punizione, mai fisica è bene ripeterlo, deve avvenire pochissimi secondi dopo l’azione sbagliata. Trascorso questo breve tempo, è impossibile per il cane collegare il suo comportamento con il rimprovero.

Prendiamo ad esempio un cucciolo che ha fatto pipì in casa. E’ importante insegnargli che deve sporcare fuori, in giardino ma usare la forza è sbagliato. Sento ancora qualcuno dire che bisogna “mettergli il muso dentro” e sgridarlo perché capisca come “stare al mondo”. Assurdità. Si deve invece fare finta di niente e aspettare la prossima volta per coglierlo sul fatto. Allora, si deve pronunciare un “NO!” secco, e assumere un’espressione seria e dura. Il cucciolo capirà all’istante. Tutto qui, non c’è bisogno di giornali arrotolati per picchiarlo o di strattoni per la collottola.

Il segreto è vivere in armonia con il cane. Vedere in lui un fratello minore o un figlio, non un essere inferiore sul quale imporsi. Le persone nervose, sempre arrabbiate e che perdono facilmente il controllo, dovrebbero essere le ultime a possedere un animale. Ce lo insegna anche il grande Konrad Lorenz. In un suo libro, il premio Nobel, scomparso nel 1989, racconta di quando il suo cane lo morse involontariamente. L’animale stava litigando con un altro cane e quando Lorenz lo afferrò per separarlo, lui si girò mordendo, pensando di essere attaccato alle spalle. Subito si accorse di aver ferito il padrone e di colpo assunse un’espressione così affranta che Lorenz pensò stesse per avere un infarto. Nonostante perdesse sangue da una mano, Lorenz si mise ad accarezzare il suo animale, parlandogli dolcemente, cercando di spiegargli che non era successo nulla, che non era arrabbiato con lui. Il cane restava immobile, tremando come una foglia, e solo dopo insistenti attenzioni si calmò. Ho sempre pensato che in questo episodio ci sia un mondo intero da imparare.

Parlando di disciplina, vorrei anche dire qualcosa riguardo all’abitudine di alcuni addestratori di fare uso di collari elettrici. Sono aggeggi molto simili a strumenti di tortura che infliggono al cane una dolorosa scarica elettrica. Vengono utilizzati per “farsi obbedire”, facendo leva sulla sofferenza per ottenere ciò che si vuole.

<<Cani addestrati con i collari elettrici sono le vittime di una violenza che, in maniera legittimata, viene attuata ogni giorno>>, dice Walter Caporale, presidente degli Animalisti Italiani. <<E’ una pratica che produce ogni anno circa 150 mila cani addestrati alla difesa, all’attacco, per la caccia e anche per i combattimenti.>>

<<E’ completamente assurdo pensare di addestrare un cane con un collare elettrico>>, mi ha detto Ferruccio Pilenga fondatore della Scuola Italiana Cani da Salvataggio. <<Con sistemi del genere invece si ottiene l’effetto contrario. Gli animali rendono sempre meno.>> Pilenga è uno che di cani se ne intende. Abbiamo visto le emozionanti immagini dei suoi cani nella sezione “Foto dal mondo” nel mese di settembre, e si può leggere la sua storia nella “Confraternita del Bau” in “Bagnini a quattro zampe”. I cani di Ferruccio Pilenga, che sono famosi in tutto il mondo, vengono addestrati con la dolcezza e l’armonia. <<Col cane si deve parlare, non forzarlo ad agire sotto la pressione di qualcosa che lo terrorizza>>, afferma Pilenga. <<Se un cane lo desidera davvero, può fare quasi di tutto anche lanciarsi nel mezzo di un tempesta e nuotare tra le onde, come imparano a fare i nostri animali. Ma un cane addestrato con l’elettricità, con il dolore, obbedisce solo per paura. E’ una pura follia. Purtroppo, nel mondo della cinofilia esistono realtà drammatiche. Ci sono gare in cui conta solo chi arriva prima ed è impensabile il secondo posto. Allora accade come nello sport quando si fa ricorso al doping: tutti i mezzi diventano leciti pur di ottenere il risultato. In queste gare si fa qualsiasi cosa pur di farsi obbedire dal cane, anche usare la violenza e la tortura. Ma non è così che si instaura un rapporto con l’animale. Non è seguendo le vie più brevi che si possono utilizzare le doti di questa straordinaria creatura. Il metodo corretto comporta i premi. Quando il cane si comporta bene, lo si premia, gli si dà un regalo. Ma questo non significa necessariamente dargli del cibo. Il premio è tutto quello che fa piacere al cane dalla leccornia al giocattolo, dalla carezza alla prospettiva di giocare con altri cani. Così non si forza l’animale ma si sfrutta il suo desiderio di rendersi utile e di divertirsi. I cani ci amano e si fidano di noi. Non meritano la nostra ignoranza. Ricordo una leggenda degli indiani Navajo. Dice che un giorno il Grande Spirito tracciò col dito il Grand Canyon per separare gli uomini dagli animali. Ma il cane volle rimanere con le persone per far loro da compagno. Purtroppo molta gente tradisce questa antica amicizia. E’ un vero peccato.>>

Foto di Nicola ALLEGRI