IL
SOGNO AFRICANO di
DANIELA DE DONNO
Foto
di Nicola Allegri www.nicolaallegri.it
Caro
Tony,
mi hai chiesto di raccontarti la storia di Daniela De Donno, di cui
hai pubblicato l’immagine nella rubrica “Foto dal mondo” del tuo
mensile “Il Fasutino”. E’ una storia molto importante, di quelle che
fanno pensare e che spingono a osare nella vita, soprattutto quando si
tratta di aiutare gli altri. In particolare se si tratta di aiutare
bambini, ragazzi,
persone che sono all’inizio della loro esperienza in questo mondo
e che quindi possono
realizzarsi come perdersi.
Ti
ringrazio di avermi chiesto questo, ma ho pensato che meglio di me poteva
raccontare Nicola, l’autore della foto che hai pubblicato nel tuo
“Faustino”. Lui è un testimone diretto di quella vicenda, è stato
sul posto, ha conosciuto bene Daniela e i bambini, ed ha documentato la
storia con la sua macchina fotografica. Quindi,
lascio che sia lui a raccontare questa straordinaria vicenda. Saluti e
buona lettura.
Renzo
Allegri
Kigoma
è uno dei posti più poveri del mondo. Si trova in Tanzania, sul Lago
Tanganica, nei pressi del Parco Nazionale di Gombe. L’ambiente e il
paesaggio sono incantevoli, ma la povertà della gente è assoluta.
Reddito medio pro capite 200 mila lire l’anno, un litro di latte costa
1200, cioè la paga di due giorni di un operaio, mandare un figlio a
scuola porta via 140 mia lire.
In
questo posto ho trovato una storia bellissima, che coinvolge alcune
persone italiane e fa onore alla solidarietà spontanea delle persone
semplici e generose.
Protagonista,
una giovane biologa pugliese che si chiama Daniela De Donno. Laureata in
biologia e specializzata in etologia, è collaboratrice della celeberrima
studiosa inglese Jane Goodall, la più grande esperta di Scimpanzè del
mondo, fondatrice del “Jane Goodall Institute”, una organizzazione
internazionale che si dedica alla conservazione dell’ambiente e ad aiuti
umanitari, la cui sede principale si trova proprio a Kigoma. E mentre era
là, a lavorare al “Jane Goodall Institute International”, Daniela De
Donno è stata coinvolta nella storia di un orfanotrofio che per mancanza
di fondi doveva chiudere mandando i suoi sfortunati piccoli ospiti sulla
strada.
<<L’orfanotrofio
è qui vicino, si chiama “Sanganigwa Children’s Home” ed è
l’unico della regione>>, mi ha raccontato Daniela De Donno.
<<Era finanziato da una organizzazione umanitaria norvegese, ma ad
un certo momento, nel 1998, quella organizzazione ha tagliato i fondi.
L’orfanotrofio si è trovato sul lastrico>>.
Ho
incontrato Daniela De Donno proprio nell’orfanotrofio di Kigoma. E’
una donna alta e snella, dal sorriso contagioso. Molto determinata.
All’orfanotrofio
c’era una festa quel giorno. Dall’Italia, e precisamente da Pelago,
vicino a Firenze, erano arrivati degli ombrelli, regalati dagli alunni
della Scuola Elementare di Pelago per
la stagione delle piogge. I
bambini dell’orfanotrofio Sanganigwa erano felice. Hanno cantato,
suonato, ballato, facendo continuamente cin cin per i loro amici italiani,
ed hanno anche potuto bere una coca cola e mangiare un uovo a
testa.
<<Avevo
imparato a conoscere questo orfanotrofio perché l’Institute Goodall”
è proprio qui vicino>>, dice Daniela. <<E quando venni a
sapere che doveva chiudere rimasi malissimo.
I bambini, essendo senza famiglia,
sarebbero finiti sulla strada. Abbandonati. Una cosa terribile. La
Chiesa locale non poteva fare niente perché è in miseria. E’ travolta
dagli aiuti umanitari che deve dare a migliaia di profughi che si
rifugiano in Tanzania per sfuggire ai massacri delle guerre nei Paesi
confinanti. “Bisogna fare
qualche cosa”, mi sono detta, ma non sapevo proprio che cosa. Poi sono
rientrata in Puglia per una breve vacanza, ho parlato con degli amici.
Tutti sono rimasti colpiti come me. Abbiamo organizzato una serata di
beneficenza, sono stati raccolti dei soldi e da lì è nata l’idea di
salvare l’orfanotrofio.
<<Per
prima cosa>>, ha continuato a raccontarmi Daniela
<<con i soldi raccolti ho comperato una mucca. Una bella
mucca pugliese che ho chiamato Lecce. E l’ho portata qui, a Kigoma. Il
latte è un cibo completo e fondamentale per un bambino, ma qui costa come
l’oro. E quell’investimento si è mostrato provvidenziale. La mucca
Lecce è stata meravigliosa. Si può dire che con il suo latte abbia
salvato i bambini. Da mesi vivevano mangiando solo un po’ di fagioli.
Erano denutriti e pieni di malanni. Il latte ha portato loro vitamine,
sali minerali, molti altri elementi importanti per l'organismo, energie
nuove insomma. I bambini si
sono ripresi e sono diventati belli, forti, resistenti.
Nell’orfanotrofio è tornata la speranza e l’allegria.
<<Quello
è stato il primo passo. Poi sono cominciati i guai. Tenere in piedi una
comunità con una sessantina di bambini e cinque persone che li
accudiscono non è impresa da poco>>.
Daniela
ha voluto farmi visitare l’orfanotrofio. Una costruzione modesta,
che serve solo da casa per i bambini. C’è un dormitorio per i
maschi e uno per le femminucce. Poche misere stanze. I
bambini più piccoli di giorno frequentano un asilo, mentre i più
grandicelli vanno a scuola fuori e poi tornano nell’orfanotrofio per
fare i compiti. Vivono tutti insieme, serenamente, con il ritmo di una
grande famiglia. Aiutano nelle faccende domestiche, aiutano ad accudire la
mucca, anzi le mucche perché dopo Lecce ne sono arrivate altre due,
aiutano a lavorare la terra di un campicello, dove si coltivano ortaggi.
<<Il primo compito da risolvere è stato quello di evitare che
l’orfanotrofio venisse chiuso e che i bambini finissero sulla strada>>, mi
ha detto Daniela. <<Il secondo arrivare a dar loro una alimentazione sana
e sufficiente, in modo che possano crescere bene e robusti. Con l’aiuto
degli amici italiani, siamo arrivato a questo.
Adesso
però bisogna continuare, e progettare il futuro. L’obiettivo che ci siamo
proposti è quello di dare a questi bambini e ragazzi un avvenire “vitale”.
Vorremmo prepararli al lavoro, dar loro una professione, in modo che siano
in grado di provvedere a loro stessi e diventare utili al loro Paese. E’
un progetto ambizioso, ma concreto e io sono convinta che solo con la
concretezza si aiuta veramente le persone che hanno bisogno>>.
<<E
i fondi per fare tutto questo?>>, ho chiesto,
<<Non
possiamo contare su nessun finanziamento pubblico>>, ha risposto
Daniela. <<Ciò che è stato fatto finora è frutto solo della
generosità spontanea di amici italiani. Un grande aiuto lo continuo avere
da tre toscane: la Scuola elementare di Pelago,
quella di Castelnuovo Misericordia, in provincia di Livorno, e la
Scuola Media di Barberino del Mugello. A Pelago c’è una carissima
amica, Fiorella Del Lungo, che ha coinvolto le donne anziane di Pelago,
che hanno cucito vestiti per i bambini di Kigoma. Tra i ragazzi delle
scuole toscane e gli orfani di Kigoma è nato uno scambio di lettere, di
disegni, di informazioni sull’ambiente, sugli animali. I piccoli aiuti
che inviano i ragazzi toscani sono preziosi e permettono a questi orfani
di mangiare tutti i giorni, di vestirsi e di andare a scuola. A
Natale, i ragazzi della Scuola di Pelago hanno fatto dei risparmi sui loro
regali ed hanno comperato gli ombrelli che sono arrivati oggi e servono
per affrontare la prossima stagione delle piogge.
<<Certo, non si può
costruire un progetto che vada avanti nel tempo fidando solo sulla
generosità di alcune persone. Per questo ho cercato di dare una
organizzazione anche giuridica a questo progetto. Ho fondato
un’Associazione, legandola al nome di Jane Goodall, la scienziata con la
quale lavoro. Ho chiamato questa Associazione “Jane Goodall Institute
Italia”. Abbiamo una sede legale e anche un sito Internet: www.janegoodall-italia.org
Consultando il sito, le persone possono conoscere la nostra storia,
i nostri progetti e trovare gli indirizzi per contattarci e magari darci
una mano>>.
Nicola
Allegri
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