UNA FAMIGLIA DI SANTI

by Renzo Allegri

Chi si interessa di Gianna Beretta, trova la prima grande e incredibile sorpresa conoscendo la sua famiglia di origine. Una famiglia di santi. Una famiglia bergamasca di modeste condizioni, ma di una ricchezza spirituale ed umana incantevoli.

Il padre di Gianna, Alberto, era un impiegato. La madre, Maria, una casalinga. Questi due coniugi ebbero 13 figli, e Gianna era la decima. Cinque di questi figli, morirono in tenera età, gli altri otto, pur non potendo disporre di sufficienti mezzi economici per studiare, riuscirono tutti a laurearsi: quattro in medicina, due in ingegneria, una in farmacia e una si era diplomata in pianoforte.

Ma la cosa più sorprendente sta nel fatto che tutti questi magnifici otto fratelli hanno tenuto, nel corso della loro esistenza, una condotta illuminata e guidata da grandi principi di cristiano altruismo, diventando tutti degli esempi straordinari. Gianna, medico, è ora santa. Enrico, medico pure lui, ad un certo momento si è fatto frate cappuccino prendendo il nome di Padre Alberto: è andato missionario in Brasile dove ha fondato un ospedale e un lebbrosario. Francesco, ingegnere, ha esercitato la sua professione in Italia e poi è stato per diversi anni in Brasile, accanto a Padre Alberto, per dirigere i lavori della costruzione dell’ospedale e del lebbrosario. Ferdinando, medico ginecologo, ha esercitato la professione in Lombardia, ed era amato da tutti i suoi assistiti perché sempre pronto non solo ad ascoltarli e curarli con dedizione, ma anche ad aiutare economicamente i più poveri. Giuseppe, ingegnere, si è fatto sacerdote e per oltre quarant’anni è stato responsabile di tutte le costruzioni religiose della diocesi di Bergamo. Virginia, medico, si è fatta suora canossiana, ed è andata a svolgere la sua missione e la sua professione in India. Zita, farmacista, rinunciò generosamente alla propria professione per assistere i genitori che erano diventati vecchi e malati, e poi per assistere il fratello Padre Alberto, il quale, dopo 33 anni di lavoro in missione, venne colpito da ictus e rimase infermo per altri vent’anni. Amalia, la pianista, morì a soli 28 anni.

Di questi magnifici otto, solo due sono ancora in vita: Don Giuseppe, ingegnere e sacerdote, e Virginia, medico e suora canossiana. Li ho incontrati nella loro casa a Bergamo per farmi raccontare la vita della loro sorella santa, ed è stato un incontro pieno di emozioni. Sono persone di una sensibilità, di una saggezza, di una bontà che non potrò mai dimenticare.

E la prima domanda che ho fatto, suggerita proprio dalla straordinarietà della famiglia cui appartengono, riguardava i loro genitori.

<<Erano molto religiosi i vostri genitori?>>

<<Io penso che siano stati due santi>>, mi ha risposto don Giuseppe. <<Sono vissuti sempre alla presenza di Dio, amando il Signore e osservando i suoi comandamenti. E hanno trasmesso a noi figli questi valori con la più grande serenità e semplicità. E’ difficile spiegare, oggi, queste cose perché abbiamo perduto i concetti della fede di un tempo. La fede dei nostri genitori era come l’aria che si respira, una cosa essenziale, che faceva parte integrante della vita. Mamma e papà, si alzavano alle cinque per trovare il tempo di andare a messa tutte le mattine. Alla sera, prima di andare a dormire, la famiglia unita recitava il rosario. Era papà a intonarlo. Lui stava in piedi di fronte a una immagine della Madonna. I fratelli più grandi accanto a lui, i più piccoli inginocchiati vicino alla mamma. Spesso, noi piccini ci addormentavamo sulle ginocchia della nostra mamma. Ma tutto questo era spontaneo, naturale, vissuto davanti a Dio, nell’amore semplice e vivo>>.

<<Vostro padre, con uno stipendio da semplice impiegato, come ha fatto a sostenere le spese per gli studi universitari di otto figli?

<<Amministrando quel poco che aveva con grande diligenza. Papà diceva: “Non vi lascio dei soldi, ma vi do la possibilità di svolgere la vostra vita secondo gli ideali che avete”. Farci studiare tutti, richiese un grande sacrificio da parte dei nostri genitori. Mano a mano che crescevamo, servivano più soldi. Papà e mamma eliminavano le spese superflue. A papà piaceva fumare il sigaro Virginia la sera dopo cena. E improvvisamente smise, perché ritenne quella spesa superflua. Mamma, per risparmiare, ci confezionava i vestiti lavorando di notte. Ed era così brava che certe signore ricche, mamme di miei compagni di scuola, mi chiedevano chi fosse la nostra sarta perché volevano servirsene anche loro>>.

<<Com’era Gianna da ragazza?

<<Vivacissima, allegra, innamorata della vita, piena di iniziative, con grandi interessi intellettuali, artistici e umanitari. Ma tutto cercato, voluto, vissuto in armonia con la presenza di Dio, con i principi di fede come ci avevano insegnato mamma e papà. Andava a messa e faceva la Comunione tutte le mattine. Era impegnata in numerose opere di volontariato a favore dei poveri e degli ammalati. Fu una dirigente dell’Azione Cattolica e una componente delle Conferenze di San Vincenzo>>.

 

<<Perché scelse di fare il medico?

<<Proprio perchè riteneva che con quella professione poteva essere più utile agli altri, soprattutto ai poveri e ai poveri sofferenti. Ricordando ciò che aveva detto Gesù nel Vangelo a proposito dei poveri e degli ammalati, ripeteva spesso: “I sacerdoti quando celebrano la messa tengono il corpo di Cristo tra le mani; noi medici tocchiamo il corpo di Cristo negli ammalati”>>.

<<Lei è ingegnere ed è sacerdote; sua sorella, Suor Virginia, che è qui accanto a lei, è medico e missionaria; un vostro fratello, padre Alberto, era medico e missionario: perché Gianna non ha seguito il vostro esempio, diventando religiosa?>>

<<Non credo si sentisse chiamata alla vita religiosa. Desiderava, però, diventare una missionaria laica. Nostro fratello, padre Alberto, era missionario in una zona poverissima del Brasile, dove aveva fondato un lebbrosario e aveva bisogno di un collaboratore medico. Aveva chiesto a Gianna di vedere se trovava qualche suo amico che potesse andare ad aiutarlo. E Gianna decise di andarci lei. Stava già studiando il portoghese. Però era cagionevole di salute e il suo direttore spirituale la sconsigliò di partire. Le disse che quando il Signore chiama per una missione concede anche la salute fisica per affrontare i sacrifici. Nel suo caso, il Signore non poteva chiamarla in Brasile perché la salute non avrebbe retto alle grandissime difficoltà di vita di quella zona>>.

<<E allora decise di sposarsi?>>

<<Capì che il Signore desiderava che lei si realizzasse nella famiglia. Cominciò a pregare chiedendo a Dio di aiutarla a incontrare l’anima gemella e il Signore l’ha esaudita. Si è sposata ed è stata una madre e una moglie esemplare>>.