UNA SCELTA EROICA
by Renzo Allegri
<<La santità di Gianna è vicina a ciascuno di noi>>, ha scritto il
cardinale Carlo Maria Martini. <<Ella ha affrontato i nostri problemi, ha
sofferto come noi, ha vissuto le nostre difficoltà della vita
quotidiana>>. E anche il marito di Gianna mi disse in un’intervista: <<La
vita cristiana di mia moglie non contiene episodi clamorosi. Gianna non ha
compiuto azioni memorabili, stupefacenti. La sua vita fu un susseguirsi
continuo, ininterrotto, di piccole azioni quotidiane compiute per amore di
Dio, secondo l'insegnamento del Vangelo>>. Ma quando si presentò la grande
prova, la chiamata suprema, il suo amore per Dio era così vivo e concreto
che non ebbe la minima esitazione e accettò il sacrificio della vita.
<<Come
reagì sua moglie quando seppe di avere un tumore?>>,
chiesi al marito di Gianna quando lo intervistai.
<<Come sempre, con calma, con riflessione, ma anche con
determinazione assoluta>>, mi rispose. <<Gianna adorava i bambini. Ne
avevamo tre e quando, nel settembre 1961, si accorse di attendere il
quarto figlio era felicissima. La gravidanza non sembrava dare alcun
problema particolare. Ma un giorno Gianna si accorse che qualcosa non
andava per il verso giusto.
<<Sentiva un gonfiore all'addome. Me ne parlò. Disse che forse si
trattava di una cisti ovarica. Decidemmo che bisognava fare un controllo e
la accompagnai da suo fratello Ferdinando, che era ginecologo. Ferdinando
constatò che accanto all'utero si notava un grosso fibroma. La fece
ricoverare all'ospedale di Monza per una visita dal professor Mario
Vitali, che confermò la diagnosi consigliando un intervento immediato. Il
professor Vitali le parlò chiaro, prospettandole tutti i pericoli a cui
sarebbero andati incontro sia lei sia il bambino che aveva in grembo.
<<La situazione era delicatissima. L'intervento chirurgico poteva
essere eseguito in tre modi diversi. Il modo più sicuro per salvare la
vita a Gianna era la laparotomia totale, cioè l'asportazione sia del
fibroma sia dell'utero. Ma Gianna lo scartò subito perché questo
intervento non avrebbe salvato la vita del bambino. Il secondo tipo di
intervento poteva consistere nell'interruzione della gravidanza mediante
aborto terapeutico e asportazione del fibroma. In questo caso, sarebbe
stato salvato l'utero e, in futuro, Gianna avrebbe potuto avere ancora
bambini. Ma lei scartò anche questo perché non salvava il bambino. Il
terzo tipo di intervento consisteva nell'asportazione del solo fibroma,
cercando in tutti i modi di non interrompere la gravidanza in corso. Mia
moglie era medico. Sapeva perfettamente che questo intervento era
rischiosissimo per lei. Avrebbe salvato la vita del bambino ma, dopo il
parto, avrebbe offerto pochissime probabilità di sopravvivenza alla madre.
Ma Gianna scelse quello.
<<L'intervento venne eseguito il 6 settembre. Prima di entrare in
sala operatoria, Gianna, davanti a me, a suo fratello Ferdinando e al
professor Vitali, disse: "Dovete assolutamente salvare la vita al
bambino". Tutto andò bene. Mia moglie venne dimessa, si ristabilì,
riprese la sua attività di medico e continuò ad andare regolarmente in
ambulatorio fino a pochi giorni prima di essere nuovamente ricoverata per
il parto.
<<Trascorse tutto questo tempo nella tranquillità più grande, ma
pensava continuamente alla sua situazione. Sapeva che con grandissima
probabilità non sarebbe sopravvissuta al parto. Continuava a ordinare e
riordinare la casa. Metteva a posto ogni angolo, ogni cassetto, ogni
oggetto, come dovesse partire per un lungo viaggio.
<<Ogni tanto mi chiedeva perdono perché temeva di darmi
preoccupazioni. Un giorno, quando mancava circa un mese al parto, mentre
stavo uscendo per andare al lavoro, mi venne vicino e mi disse: "Pietro,
vieni, sediamoci, parliamo un poco". Mi prese dolcemente per mano. Sedemmo
in salotto. Lei mi stava vicino e, come succede quando si devono dire cose
difficili, che pesano, non riusciva a trovare le parole giuste. Finalmente
disse: "Pietro, ti prego, se, quando verrà il momento, si dovrà decidere
tra me e il bambino, decidete per il bambino. Non per me. Te lo chiedo".
La guardai, e lei mi guardò fisso negli occhi. Mi sentivo morire, ma lei
era serena. Non riuscii a dire niente.
<<Gianna
non voleva morire. Pensava ai nostri tre bambini piccoli, che sarebbero
rimasti orfani. Ma valutava la situazione con razionalità. Per i bambini
c'erano il padre, le zie che avrebbero pensato a loro. Mentre il piccolo
che portava in grembo poteva contare soltanto su di lei, sul suo coraggio
di sacrificare la sua esistenza per dargli la vita. E Gianna non ebbe
esitazioni.
<<Il 20 aprile, nel pomeriggio, cominciarono a manifestarsi i
sintomi delle doglie. Presi la macchina e accompagnai Gianna all'ospedale
di Monza, dove si trovava il professor Vitali, che l'aveva in cura. Venne
ricoverata nel secondo padiglione del reparto di ostetricia. Era il
venerdì santo. Dopo una notte intera di inutili tentativi per far nascere
il bambino mediante parto naturale, al mattino il professor Vitali disse
che era urgente intervenire con taglio cesareo. Diedi il consenso e alle
undici nacque la bambina.
<<Quando Gianna si risvegliò dall'anestesia, le infermiere le
portarono la figlia e negli occhi di mia moglie si leggeva una gioia
infinita. Gianna rimase estasiata a guardare la piccola senza parlare.
Chissà a che cosa pensava. Ogni tanto la accarezzava con una tenerezza
infinita.
<<Quasi subito iniziarono terribili sofferenze. La temperatura
corporea sali vertiginosamente. I medici si davano da fare per cercare di
fronteggiare la situazione. Si stavano realizzando le temute
complicazioni. Venne diagnosticata una peritonite settica. Furono
applicate le terapie del caso, ma Gianna stava sempre peggio. Soffriva
tremendamente, ma non si lamentava. La sua agonia durò sette lunghi giorni
e furono giorni spaventosi, che non potrò dimenticare mai>>
All’ospedale, Gianna fu assistita soprattutto dalla sorella
Virginia, medico e suora canossiana, che era rientrata proprio in quei
giorni dall’India dove svolgeva il suo apostolato di missionaria.
<<Quando arrivai, Gianna era all’ospedale e aveva già partorito>>,
ricorda Madre Virginia. <<Era raggiante per la nascita della bambina. Ma
sapeva anche di dovere morire. Infatti, ad un certo momento, mi disse:
“Sapessi, Virginia, quanto si soffre sapendo di dover morire e di dover
lasciare i bambini tutti piccoli.
<<Rimasi
sempre al suo capezzale. Non l’ho mai sentita lamentarsi con i medici o
con le infermiere e solo raramente ha svelato le sue sofferenze anche con
me. Una mattina mi disse: “Era tanto il dolore questa notte che ho fatto a
brandelli un fazzoletto per non urlare”. Ma, come risulta anche dalla
cartella clinica, ha rifiutato sempre di prendere calmanti. Voleva essere
completamente presente a se stessa e continuare ad avere un rapporto
lucido con Gesù che invocava in continuazione. Attingeva la forza di
soffrire dalla preghiera. Nei momenti più atroci baciava il mio crocefisso
di missionaria. Pensava ai figli piccoli. A mia sorella Zita, e anche a
me, ogni tanto ripeteva: “Vi raccomando i miei angioletti”. Era tormentata
da un continuo sforzo di vomito. Ricevette con grandissima rassegnazione
il sacramento dell’Estrema unzione. Aveva fatto un patto con nostro
fratello Ferdinando, che era medico: lui avrebbe dovuto avvertita quando
fosse giunto il momento della morte. Ma Ferdinando non ebbe il coraggio di
farlo. Toccò a me. “Coraggio Gianna”, le dissi “papà e mamma sono in cielo
che ti aspettano”. Mi guardò serena, anche se nel suo sguardo si leggeva
molta tristezza. Pensava ai bambini. Poi disse a suo marito: “Pietro,
portami a casa, voglio morire nel nostro letto”. Fu portata a casa nella
notte tra il sabato e la domenica. Potè sentire ancora la voce di bambini
che, nella camera accanto, si erano svegliati per il trambusto. Il suo
viso, sentendo quelle voci, si rigò di lacrime. Poi il respiro si fece più
lieve. Sentivo che bisbigliava, mi avvicinai: pregava. All’alba del 28
aprile, se ne è andata in cielo>>.
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