ALBERTO MARVELLI
UN GIGANTE DELLA CARITA’
Caro Tony e cari amici che vi fermate a leggere in
quest’angolo.
Tra le persone che la Chiesa proclamerà beate entro l’anno, vi è anche
Alberto Marvelli, un ingegnere di Rimini, morto nel 1944 quando aveva
soltanto 28 anni.
Quando
ho letto questa notizia sui giornali, mi è venuto in mente che nel 1969 mi
ero interessato di lui. Ero andato a Rimini per intervistare Federico
Fellini, il grande regista, e fu lui a parlarmi di Alberto Marvelli.
Nel corso dell’intervista, Federico ricordava gli anni
dell’adolescenza e della prima giovinezza, trascorsi a Rimini, sua città
natale. Ricordava gli amici, e ad un certo momento disse: <<Sai che ho avuto
come compagno di scuola e di giochi anche un santo? Si chiamava Alberto
Marvelli ed è morto subito dopo la guerra. Ho saputo che ora hanno iniziato
il processo di beatificazione. Lo ricordo bene. Fummo insieme fin dalla
prima elementare. Era un ragazzino biondo, molto dolce. Le mamme lo
indicavano a noi come un bambino modello, buono e bravo. Al liceo non faceva
parte della mia compagnia, perché io e i miei amici eravamo un po’
scapestrati, ma sapevo che era impegnato molto ad aiutare i poveri. Sono
certo che diventerà santo e ti dico che, quando ci penso, fa un certo
effetto pensare di aver giocato a pallone con un santo>>.
Le parole di Fellini mi incuriosirono. Cominciai a raccogliere notizie
su quel giovane. Incontrai diverse persone che lo avevano conosciuto bene.
Tra queste, anche i suoi fratelli e sua madre, che era molto anziana. Mi
raccontarono cose straordinarie e ora che il processo di beatificazione è
finito e che Alberto Marvelli sta per essere proclamato beato, le voglio
riferire qui, a te e agli amici che mi leggono. E’ confortante sapere che al
mondo ci sono giovani come Alberto. E ce ne sono tanti. Non fanno notizia in
questa nostra civiltà impegnata ad esaltare la futilità. Ma sono quelli che
contano, che lasciano un segno, il cui ricordo conforta anche dopo anni ed
anni.
Alberto
Marvelli era nato a Ferrara, il 21 marzo 1918. Crebbe però a Rimini, dove la
sua famiglia aveva una villa. Era figlio di un direttore di banca. La madre,
Maria Mayr, apparteneva a una nobile famiglia ferrarese di origine tedesca,
ed era figlia della marchesa Geltrude Granello di Casaleto.
Alberto ebbe un'infanzia serena, insieme ai fratelli Adolfo, Carlo,
Lello, Giorgio e Geltrude. Ricevette un’educazione profondamente religiosa.
I genitori gli davano un continuo esempio di vita cristiana dedicata
interamente al lavoro, all'aiuto dei poveri, alla difesa della verità e
della giustizia.
Soprattutto la mamma di Alberto si distingueva per un eccezionale
amore per i poveri. In casa Marvelli succedeva spesso che metà del pranzo,
una volta cucinato, sparisse senza essere stato servito. La mamma diceva ai
figli: <<È venuto Gesù e aveva fame>>. Tutti comprendevano che la parte del
pranzo che mancava era stata data ai poveri.
Nel 1969, quando la incontrai, la signora Maria Mayr Marvelli, che era
già molto anziana, si meravigliò che volessi scrivere un articolo su suo
figlio. Per lei, Alberto aveva soltanto compiuto il suo dovere di cristiano.
<<Tutti dicono, ora, che Alberto è un santo>>, mi disse sorridendo. <<Io non
ci credo. Alberto era un bel ragazzo. Era molto buono, ma ci vuol ben altro
per diventare santi! Aiutava i poveri, li amava, è vero. Ma questo è il
dovere di ogni buon cristiano. Nel Vangelo c'è scritto che bisogna dare ai
poveri quello che abbiamo in più. A mio figlio avevo insegnato a vivere
secondo il Vangelo, e lui lo faceva>>.
L’esempio
della mamma fu determinante per la formazione di Alberto Marvelli. Infatti,
la caratteristica della santità di questo giovane è proprio l’aiuto ai
poveri. Negli anni drammatici della Seconda guerra mondiale, quando era
difficile per tutti vivere e trovare cibo, e magari sotto i bombardamenti
era andata perduta la casa con gli averi, Alberto sacrificava se stesso con
autentico eroismo per aiutare chi aveva bisogno.
Nel novembre del 1943, a Rimini cominciarono i bombardamenti. Pochi
giorni dopo venne dato l'ordine di sgomberare la città. Rimini subì, in
seguito, più di trecento bombardamenti. La famiglia Marvelli si trasferì
così a Vergiano, un paese a sette chilometri. Da quel momento Alberto
cominciò a condurre una vita randagia e sempre esposta al pericolo. Sfidava
i bombardamenti per provvedere le cose necessarie alla sua famiglia e alle
altre famiglie che erano sfollate a Vergiano. Scendeva in città al termine
di ogni bombardamento per soccorrere i feriti e per aiutare quelli rimasti
senza casa a trovare un nuovo tetto.
<<A sera>>, mi raccontò la madre di Alberto <<tornava a casa stanco,
sporco, qualche volta imbrattato di sangue. Io temevo sempre che restasse
ferito. Quando tardava, mi preoccupavo. Restavo in piedi fino a tarda ora,
finchè non arrivava. Lui, allora, mi diceva sorridendo: “Di che cosa hai
paura, mamma? Lo sai che torno sempre”>>.
Conosceva bene la lingua tedesca. Accettò di andare a lavorare nella
T.O.D.T. (organizzazione di lavori alle dipendenze dei tedeschi). Aveva un
incarico direttivo e si serviva di questo per aiutare gli italiani che
venivano arrestati. Ne liberò moltissimi. Abusò in maniera eccessiva di
questa sua posizione tanto che un giorno i tedeschi lo arrestarono.
In
carcere si trovò accanto a tante persone piene di problemi. C'erano padri di
famiglia che piangevano: parlavano della moglie, dei bambini piccoli che
avevano lasciato soli. Alberto restava immobile ad ascoltare quei racconti
dolorosi. Un giorno disse deciso: <<State tranquilli, vi farò tornare a casa
tutti questa notte>>. Organizzò una fuga. Si presentò alle guardie parlando
in tedesco ed esibendo documenti falsi, usufruendo del cognome della madre,
Mayr, che era di origine tedesca. Una volta uscito dalla prigione, ritornò,
nel pieno della notte, a liberare gli altri che poterono così raggiungere le
loro famiglie.
<<Spesso tornava a casa con qualche povero che aveva
perso tutta la sua roba sotto i bombardamenti>>, ricordava la madre di
Alberto. <<Lo sfamava. Gli dava da vestire. Aveva donato alla povera gente
anche il materasso del suo letto e lui dormiva senza>>.
Nel settembre del 1944, i rifugiati di Vergiano e dei paesi intorno a
Rimini si trasferirono a San Marino perché i bombardamenti continui avevano
reso impossibile la vita anche fuori città. Nella casa dove la famiglia
Marvelli trovò alloggio c'era una stanza piena di materassi di lana che
erano stati affidati ad Alberto da alcuni amici perchè li custodisse. Una
sera Alberto tornò accompagnato da alcuni uomini. Fece aprire la stanza e
distribuì i materassi a quella gente. <<Dormono per terra in gallerie
sotterranee>>, disse a sua madre. <<Se non si proteggono, finiranno per
prendere i dolori>>. Quando i padroni dei materassi vennero a sapere che
Alberto li aveva regalati, restarono male, però non ebbero il coraggio di
protestare perché Alberto volle pagarli.
Un giorno si presentarono due soldati che erano fuggiti dai tedeschi e
cercavano di raggiungere le loro famiglie in Lombardia, a piedi. Uno era
senza scarpe. Nessuno dei presenti aveva scarpe di ricambio da dare a quel
povero soldato. Arrivò Alberto. Gli raccontarono il caso. Egli diede
un'occhiata ai piedi del soldato e disse: <<Possono andare bene le mie
scarpe>>. Se le sfilò immediatamente e le diede al soldato che lo guardava
confuso. Alberto sorrise e tornò a casa scalzo.
Andava
spesso a trovare un amico, un certo Roberto, che faceva il commerciante.
Nelle casse di indumenti che costui aveva messo al sicuro, Alberto sceglieva
molti capi di vestiario. Li comperava. Diceva che occorrevano ai suoi
familiari. In realtà li portava ai poveri.
Terminata la guerra, la famiglia Marvelli tornò a Rimini. La città era
un cumulo di macerie, senza acqua corrente, senza luce elettrica, senza
fognature. Il comitato di Liberazione pose immediatamente gli occhi su
Alberto Marvelli, che già prima della guerra si era laureato in ingegneria.
Tutti parlavano di lui come di un gigante del lavoro. Gli affidarono
l'ufficio alloggi. In seguito, Alberto divenne assessore del comune e
ingegnere del Genio Civile.
Nel dicembre del 1945, andò a salutare il parroco di Santa Croce, che
era a letto ammalato. I vetri della finestra della canonica erano andati in
frantumi, nelle stanze si gelava. Quell'inverno era particolarmente rigido.
Alberto disse al vecchio reverendo: «Domani provvederò io». Tornò a casa,
fece togliere i vetri della sua camera da letto e mandò un operaio a
installarli nella canonica del vecchio prete.
La signora Mancini, nella cui casa, in via Garibaldi, Alberto andava
spesso a riporre la bicicletta, mi raccontò: <<Ogni tanto il dottor Marvelli
giungeva con una bicicletta diversa. "Dove l'ha messa l'altra, ingegnere?",
chiedevo. "Non l'ho più", rispondeva sorridendo. L'aveva regalata e ne
aveva comperata un'altra usata».
Aveva
regalato, uno dopo l'altro, tutti i vestiti nuovi che possedeva. Sua madre,
vedendolo conciato male, con addosso i calzoni rattoppati, gli disse:
«Alberto mi pare che tu stia esagerando. Pensa un po' anche a te stesso».
Lui, puntando l'indice verso la madre, rispose: «Senti da che pulpito viene
la predica».
La professoressa Maria Massani, che fu insegnante di
Alberto al liceo classico, e dopo la morte del giovane ne divenne
l'indefessa biografa, mi raccontò: «Solo dopo la scomparsa di Alberto fu
possibile conoscere quanto bene aveva fatto ai poveri. Al suo funerale
c'erano centinaia e centinaia di persone che seguivano il feretro piangendo.
Tutti avevano qualche episodio personale da raccontare. Ricordo che un uomo,
in lacrime, mi disse: "Sono andato da lui disperato perchè sono invalido di
guerra e i bombardamenti mi avevano scoperchiato la casa e non avevo nulla
da dare da mangiare alla mia famiglia. Alberto mi disse: `Ma non sono qui
per aiutarvi? Perchè vi disperate?'. Ha provveduto a coprirmi la casa e poi
mi ha regalato questa bicicletta"».
Il fratello di Alberto, Carlo Marvelli, mi raccontò: «Era un caro
fratello. Allegro e insieme posato e riflessivo. Studiava molto, senza
essere uno sgobbone. Era affettuoso ma riservato. In casa non raccontava mai
niente di quello che faceva fuori. Lo vedevamo indaffarato. La porta della
nostra casa era sempre aperta ai poveri, ma a questo non facevamo caso: era
una vecchia abitudine di famiglia. Alberto e la mamma andavano molto
d'accordo in questo.
«Soltanto dopo la sua morte abbiamo saputo delle decine e decine di
persone che egli aveva aiutato e ci siamo resi conto delle molteplici
attività in cui era impegnato. Soprattutto un fatto mi ha sorpreso: la mole
di lavoro che Alberto riusciva a sbrigare. Quando morì, mio fratello Adolfo
ed io prendemmo il suo posto nello studio di ingegnere e nel suo ufficio di
capo della Sezione alloggi. Faticammo, lavorando 14, 15 ore al giorno e
anche di più per tre mesi, per tenere dietro a tutte le pratiche e a tutti i
progetti che Alberto aveva avviato>>.
Morì
la sera del 5 ottobre 1946. Era uscito di casa in bicicletta per recarsi a
un comizio per le lezioni amministrative che si dovevano tenere il giorno
dopo. Un camion alleato, che procedeva a folle andatura, lo investì e poi
scomparve nel buio. Alberto era uno dei candidati più in vista di Rimini. Il
giorno dopo molti cittadini, sbigottiti per la tragedia che aveva stroncato
la vita di quel giovane buono, vollero ugualmente votare per lui. Al suo
posto venne eletta la madre.
Al suo funerale c'era tutta Rimini, sindaco socialista in prima fila.
Parteciparono numerosi anche i comunisti, suoi avversari politici, che egli
aveva combattuto nei comizi fino a qualche giorno prima. Ma anche loro erano
stati conquistati dalla rettitudine di quel giovane. I comunisti di
Bellariva, il suo quartiere, portarono al funerale una corona e diedero al
parroco del denaro perchè aiutasse i poveri in nome di Alberto Marvelli.
Fecero inoltre affiggere un manifesto sui muri della città in cui si
leggeva: <<I comunisti di Bellariva si inchinano riverenti a salutare il
figlio, il fratello, che ha sparso su questa terra tanto bene>>.
Sono trascorsi 58 anni da allora. Alberto sta per essere proclamato
beato. Il processo presso la Congregazione della causa dei Santi è già
concluso. Giovanni Paolo II ha firmato il decreto con cui si riconosce che
Marvelli è vissuto osservando in forma eroica le virtù evangeliche e anche
quello di un miracolo compiuto da Dio per sua intercessione. Si attende solo
che sia indicata la data per la solenne cerimonia di beatificazione che
dovrebbe avvenire entro l’anno.
Alberto Marvelli è un nuovo Pier Giorgio Frassati. Un nuovo
grandissimo esempio di vita cristiana vissuta nell’amore e nell’aiuto al
prossimo. Un santo moderno. Giovane universitario, giovane ingegnere,
militante nell’Azione Cattolica, nella Fuci, assessore comunale,
appassionato di sport, ottimo giocatore di pallone. Marvelli è un santo di
quelli che piacciono molto a Giovanni Paolo II. In varie occasioni, Papa
Wojtyla ha parlato di lui, additandolo ai giovani del nostro tempo come
“apostolo esemplare nella vita spirituale e nell'impegno civile”.
Renzo Allegri |