Caro Tony e cari amici lettori di questo
Angolo, siamo in clima natalizio. Faccio gli auguri a tutti. E penso
che forse vi farà piacere conoscere alcuni dettagli riguardanti il
Natale di Padre Pio e di Madre Teresa.
Padre Pio da Pietrelcina, dichiarato santo da Giovanni Paolo II il
16 giugno 2002,
è
conosciuto come “il frate con le stigmate”. Portò, infatti, sul proprio
corpo, i segni visibili della Passione di Cristo per 50 anni ed è l’unico
sacerdote stigmatizzato della storia della Chiesa. Verrebbe spontaneo
perciò pensare che per Padre Pio le ricorrenze dell’anno liturgico più
congeniali alla sua vita spirituale fossero quelle legate alle sofferenze
fisiche di Gesù, proprie della Settimana Santa. Ma non credo sia stato
così. Durante la Settimana Santa, Padre Pio soffriva terribilmente e nelle
sofferenze si sentiva vicino a Cristo anche nella “somiglianza” drammatica
della Passione. “Sapeva” certamente che con le sofferenze “collaborava”
alla Redenzione. Ma le sofferenze gli facevano paura, come facevano paura
a Gesù, e avrà di sicuro fatta sua la preghiera di Cristo nell’Orto degli
ulivi: “Se è possibile, Padre, passi da me questo calice”. Mentre, invece,
era nella celebrazione del Natale che Padre Pio trovava la gioia, il
trasporto affettivo, la luce riflessa del paradiso. Di fronte a Gesù
Bambino, il “Dio umanato”, come lo chiamava con un termine arcaico ma di
profondo significato, Padre Pio provava una tenerezza infinita, che lo
attanagliava, lo commuoveva fino alle lacrime. La sua spiritualità,
impastata di emozioni vere, semplici e forti, di partecipazione, di
dolcezza, di compassione, di affetto, trovava una piena sintonia nel
mistero della nascita di Cristo, perché vedeva in quell’evento un amore
smisurato di Dio nei confronti dell’uomo.
Tutte le persone che hanno conosciuto Padre Pio
e sono vissute accanto a lui, sono concordi nel riferire che il Natale era
la festa liturgica che più sentiva. Si preparava a questa ricorrenza con
una meticolosità straordinaria e la celebrava con un trasporto che
incantava. E questo lo fece sempre. Sia da giovane che da anziano. Padre
Ignazio da Ielsi, che fu superiore del convento di San Giovanni Rotondo
dal 1922 al 1925, quando cioè Padre Pio era giovane e aveva da poco
ricevuto le stigmate, scrisse nel suo “Diario”: <<E’ inutile dire con
quanta passione Padre Pio celebra il Natale. Sempre vi pensa. E conta i
giorni che lo separano da un Natale all’altro. Gesù bambino per lui è
un’attrazione specialissima. Basta sentire il suono di una pastorale,
della ninna-nanna, per sollevare lo spirito sù sù, tanto che a guardarlo
sembra in estasi>>. Padre Pio fu sempre un religioso umile, riservato. Non
chiedeva mai niente per sé. Si riteneva l’ultimo dei confratelli. Ma la
Messa della notte di Natale amava celebrarla lui nella chiesetta di San
Giovanni Rotondo. Essendo una cerimonia solenne, sarebbe spettata, di
diritto, al Superiore del convento. Ma sapendo con quale desiderio quella
cerimonia era ambita da Padre Pio, i vari Superiori gliela facevano sempre
celebrare a lui. Era un rito che rimaneva indimenticabile per tutti coloro
che avevano la fortuna di assistervi. Durava a lungo. A volte finiva alle
cinque del mattino. Raggiungere il convento, soprattutto negli Anni Venti
e Trenta, era un’impresa. La strada, una mulattiera sassosa che dal centro
abitato portava al conventino, era quasi sempre, in quella stagione,
coperta da neve e ghiaccio. Spesso in quella notte nevicava e faceva molto
freddo. Eppure, erano moltissime le persone che affrontavano quell’impresa
per essere presenti alla Messa di Natale di Padre Pio. Prima della
cerimonia, il Padre si intratteneva con la gente e il suo viso appariva
già trasfigurato.
Lucia
Iadanza, sua figlia spirituale, ricorda, in alcune pagine di Diario, un
fatto strepitoso accaduto la notte del 24 dicembre 1922. <<I frati avevano
portato un grande braciere in sacrestia e molte persone stavano intorno
per scaldarsi. Recitavamo il rosario in attesa della Messa. Padre Pio
pregava in mezzo a noi. Ad un tratto, in un alone di luce, tra le sue
braccia vidi apparire Gesù Bambino. Il volto del Padre era trasfigurato, i
suoi occhi rivolti a quella figura di luce che aveva tra le braccia, le
labbra aperte in un sorriso stupito. Quando la visione svanì, il Padre, da
come lo guardavo, si rese conto che avevo visto tutto. Mi si avvicinò e mi
disse di non parlare con nessuno>>. In un'altra occasione, testimone di un
fatto simile fu Padre Raffaele da Sant’Elia a Pianisi, che visse accanto a
padre Pio 35 anni. Aveva la camera accanto a quella di Padre Pio. <<Mi ero
alzato per scendere in chiesa per la Messa di mezzanotte del Natale del
1924>>, ha lasciato scritto. <<Il corridoio era immenso nell’oscurità,
rotta dalla piccola fiamma di un lumicino a petrolio. In quella penombra
vidi che anche Padre Pio stava scendendo in chiesa. Era uscito dalla sua
cella e procedeva nel corridoio a passi lenti. Mi resi conto che era
avvolto in un alone di luce. Guardai meglio e vidi che aveva tra le
braccia Gesù Bambino. Rimasi allibito sulla porta della mia cella. Mi
inginocchiai. Padre Pio passò accanto a me tutto raggiante, e non si
accorse neppure della mia presenza>>. Lucia Fiorellini, figlia spirituale
di Padre Pio, ricordando quelle notti, scrisse: <<Ero emozionata e sentivo
di vivere in una atmosfera che non era di questo mondo>>.Ciò che padre Pio
provava veramente in quei momenti non è dato sapere. Lui era molto
riservato e quasi geloso della sua vita spirituale. Qualcosa si può
intuire da piccole confidenze che faceva nelle lettere. Scrisse un giorno
al suo confessore: <<Il celeste bambino faccia sentire anche al vostro
cuore tutte quelle sante emozioni che fece sentire a me nella beata notte,
allorchè venne deposto nella povera cappannuccia. Oddio, non saprei
esprimervi tutto quello che sentii nel cuore in questa felicissima notte.
Mi sentivo il cuore traboccante di un santo amore verso il nostro Dio
umanato>>. A Raffaelina Cerase, sua figlia spirituale, scrisse: <<Al
cominciare della Sacra Novena in onore del Santo Bambino Gesù, il mio
spirito si è sentito come rinascere a novella vita: il cuore si sente come
abbastanza piccino per contenere i beni celesti; l’anima si sente tutta
disfarsi alla presenza di questo nostro Dio per noi fatto carne. Come
resistere a non amarlo sempre con nuovo ardore? Appressiamoci al bambino
Gesù con cuore immacolato di colpa e gusteremo quanto sia dolce e soave
l’amarlo>>. I confratelli ricordano che Padre Pio voleva che il presepe,
in chiesa, fosse allestito di fronte al confessionale per poterlo vedere
mentre amministrava il Sacramento della penitenza. Restava in
confessionale ore e ore ogni giorno, e teneva sempre lo sguardo rivolte
alla statuetta del Bambino Gesù.
Anche per Madre Teresa, beatificata da Giovanni Paolo II il 19
ottobre 2003, il Natale aveva un significato spirituale profondissimo.
Madre
Teresa diceva che la sua opera era iniziata il giorno di Natale del 1948.
In quell’anno infatti ottenne il permesso dalla Chiesa di lasciare la
Congregazione religiosa delle Suore di Nostra Signora di Loreto, di cui
faceva parte da vent’anni, per dedicarsi alla sua nuova vocazione, quella
di “servire i più poveri tra i poveri”. Ma volle che il primo giorno di
questa sua nuova “missione” coincidesse con il Natale. <<Scelsi il
Natale>>, mi raccontò la stessa Madre Teresa <<perché rappresenta
l’essenza della nostra fede. E’ il simbolo della sofferenza e insieme del
trionfo dell’umanità, dell’uomo, come figlio di Dio. Sofferenza,
costituita dalla nascita, dal venire in questo mondo di esilio e di prove;
trionfo, perché Gesù, facendosi uomo, ha salvato l’umanità, ha vinto la
morte ed ha regalato la risurrezione. <<La mattina di quel 25
dicembre 1948, dopo aver assistito alla Messa andai a visitare l’unico
“slum”, cioè l’unica baraccopoli che conoscevo, quella di Motijhil, una
località vicina all’edificio della scuola dove per tanti anni avevo
insegnato. In quello slum per tanto tempo avevo mandato le mie allieve a
portare i regali di Natale che io preparavo per dei bambini poveri che non
conoscevo. Ora, finalmente, potevo andarci di persona da quei bambini.
Potevo celebrare il Natale a contatto “reale” con Gesù che vive nei
poveri. <<Per tutto quel giorno di festa rimasi a Motijhil, a
fraternizzare con le mamme e giocare con i bambini. Ero talmente felice
che dimenticai di non avere un luogo dove andare a dormire. Così, a sera,
cominciai a cercare un alloggio e mi sembrava di vivere l’avventura della
Madonna incinta che non trovava posto in albergo e finì in una stalla,
dove diede alla luce Gesù. Io, a notte fonda ormai, riuscii a trovare una
donna che mi affittò una misera capanna per cinque rupie al mese. Il
giorno dopo, in quella capanna iniziai a far scuola a cinque bambini. I
miei primi bambini. Nella capanna non c’erano né tavolo, né sedie, né
lavagna. Con un bastoncino tracciavo i segni dell’alfabeto sul pavimento
di terra e così insegnavo. Tre giorni dopo quei cinque bambini erano
diventati 25 e prima della fine dell’anno erano 41. In seguito su quel
luogo costruii una scuola che occupa ora 500 bambini. Da allora>>,
concluse madre Teresa, <<ogni anno a Natale io festeggio l’inizio della
mia opera>>. Celebrare il Natale per Madre Teresa voleva dire stare con i
suoi poveri. Vedeva in essi Gesù che si è fatto uomo per amore degli
uomini. Ma i più poveri di tutti i poveri, secondo lei, erano i bambini
abbandonati e i moribondi. Per questo, ogni anno, quando si avvicinava il
25 dicembre, cercava di tenersi libera per poter trascorrere la ricorrenza
natalizia con i suoi poveri. E, se le era possibile, cercava di
trascorrerla in qualcuno degli orfanotrofi che aveva fondato,
privilegiando quelli che ospitavano bambini ammalati di lebbra o di Aids,
oppure nella sua casa dei moribondi a Calcutta. <<Ho trascorso diversi
Natali con Madre Teresa>>, mi ha raccontato monsignor Paolo Hnilica,
vescovo cecoslovacco che per 33 anni fu amico e collaboratore della suora
di Calcutta. <<Ma ne ricordo uno in particolare. Ero in India a Calcutta.
La Madre mi invitò a cena la sera del 24 dicembre, vigilia di Natale, per
festeggiare insieme a lei e alle sue consorelle. Una cena povera, quasi
misera, come è consuetudine per le Missionarie della Carità, ma ricca di
affetto, di gioia, di fraternità. L’atmosfera era così cordiale, che ci si
dimenticava quasi di mangiare. <<Ad un certo momento sentimmo
bussare alla porta. Una delle suore andò a vedere e tornò portando un
cesto coperto da un drappo. “Me lo ha dato una donna che è subito andata
via”, disse. E portando il cesto a Madre Teresa aggiunse: “Sarà una
benefattrice che ha voluto regalarci un po’ di cibo per Natale”. Madre
Teresa tolse il drappo e i suoi occhi si illuminarono. “E’ arrivato Gesù”,
disse con un bellissimo sorriso. Le suore corsero a vedere. Nel cesto
c’era un bambino di pochi giorni che dormiva. Era un bambino abbandonato.
Quella donna che lo aveva portato, forse la madre, non lo voleva tenere e
lo aveva affidato alle suore. Una scena che si ripeteva con frequenze a
Calcutta. La suore lanciavano grida di gioia e si stringevano a quel
cesto, intenerite dal bambino addormentato. Le loro grida lo svegliarono e
il piccolo si mise a piangere. Madre Teresa lo prese tra le sue braccia,
sorrideva e aveva nello stesso tempo le lacrime agli occhi. “Ecco, ora
possiamo dire che il nostro Natale è veramente completo, vero”, disse.
“Gesù bambino è venuto tra di noi. Dobbiamo ringraziare Dio di questo
meraviglioso regalo>>. Dal suo fisico emanava una emozione fortissima, una
forza protettiva che era un amore immenso>>.