Ricordi
e aspetti inediti della vita del cantante calabrese scomparso alla
fine di gennaio
IL CAPOLAVORO DI MINO
REITANO?
LA CANZONE DELLA SUA
VITA
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di Renzo Allegri
Alla fine di gennaio, se ne è andato per sempre Mino Reitano, uno
dei cantati più amati dalla gente. Aveva 64 anni. Gli ultimi due
trascorsi nella morsa di una malattia dolorosa che ha affrontato con
straordinario coraggio.
Ai funerali c’era una gran folla di gente e anche diversi colleghi.
Pochi, per quanto Reitano meritava. Ma erano i suoi amici, quelli
che lo conoscevano bene e, parlando di lui, ne hanno evidenziato la
bontà, la signorilità, la vita esemplare.
Anche i giornali hanno dato evidenza a questa scomparsa. Ricordando
soprattutto il modo sereno e composto, con il quale Mino ha
“vissuto” la malattia.
Dopo la sua morte, tutti i media hanno riportato le dichiarazioni
che il cantante aveva rilasciato in un’intervista pubblicata il
primo giugno 2008 dal quotidiano cattolico online, “Petrus”. Ma
proprio quelle citazioni evidenziavano un fatto triste. E cioè che
Mino Reitano, personaggio popolarissimo, con una splendida carriera
artistica durata una quarantina d’anni, era stato completamente
dimenticato dai media. Al punto che, alla sua morte, i grandi
giornali, quelli che generalmente vivono sulla pelle degli artisti,
sono stati costretti a “ripescare” dichiarazioni che il cantante
aveva fatto otto mesi prima a un quotidiano “online”. Quotidiano
cattolico, benemerito, ma si sa che nel nostro Paese le
pubblicazioni online sono ancora lette pochissimo. Mino Reitano,
cosciente della propria popolarità, certo di avere milioni di
persone che lo ricordavano, avrebbe certamente desiderato fare
quelle sue ultime confidenze a un grande pubblico, a giornali di
vasta diffusione. Invece no, nessuno di quei giornali si è ricordato
di lui, è andato a trovarlo, a parlargli mentre era ancora in vita.
Ma
a voler essere precisi, si può affermare che Reitano non ha quasi
mai goduto di un trattamento generoso e sincero da parte dei media.
Giornali, radio, televisioni si sono interessati di lui sempre con
una certa ironia, con una certa, sia pur pacata, ostilità. Non lo
hanno mai sostenuto. Non gli hanno mai dato pieno credito. Non
potevano ignorarlo perché era l’idolo della gente, ma non ha mai
goduto di quelle attenzioni mediatiche di stima e di apprezzamento,
tanto utili anche per la vendita dei dischi, riservate invece a
molti altri suoi colleghi, meno bravi e meno popolari di lui. C’è
stata, nei suoi confronti, quella strana, silenziosa ma reale,
congiura che tocca certi artisti. Ne è dimostrazione il fatto che
alla radio, nelle innumerevoli trasmissioni radiofoniche di decine
di stazioni radio giornalmente impegnate a lanciare nell’etere
migliaia di canzoni, non si sente mai la voce di Reitano. In
televisione, negli ultimi vent’anni, questo cantante lo si è visto
poco, anzi pochissimo.
Più volte aveva raccontato che sognava di poter condurre, anche lui,
come altri suoi colleghi, una trasmissione tutta sua, raccontando la
propria vita, che è stata piena di spunti avventurosi e
straordinari. Nato nel Sud d’Italia, a Fiumara, in Calabria, da
famiglia povera, orfano fin da piccolo, è riuscito egualmente ,
affrontando comprensibili grandi sacrifici, a studiare musica al
Conservatorio, imparando a suonare il pianoforte, il violino e la
tromba. A 14 anni iniziò a cantare nel complesso musicale dei suoi
fratelli emigrando poi con loro in Germania, dove ebbe inizio il suo
successo. In quel Paese ebbe modo di suonare nello stesso club dove
suonavano
anche i “The
Quarrymen”, gruppo inglese, con i
quali strinse amicizia. In seguito, quel gruppo divenne famoso con
il nome dei
Beatles. Nel 1965 Mino cominciò a
farsi notare anche in Italia, e poi arrivò il grande successo che lo
ha portato ai vertici della popolarità. Un successo pieno, duraturo,
costellato da tappe prestigiose, sia come interprete che come
autore. Certe sue canzoni hanno superato la prova del tempo, come,
per esempio, Una ragione di più, portata al successo da
Ornella Vanoni, la quale, trent’anni dopo ha voluto inserirla anche
nel suo ultimo CD.
Reitano
aveva scritto un libro autobiografico sulle proprie vicende, aveva
poi presentato in Rai varie proposte per trarne delle puntate
televisive, ma non ebbe mai risposta. Perché? Se lo chiedeva
sconsolato anche lui. E su tante altre vicende strane della sua
carriera si interrogava senza trovare risposte. In pratica, Reitano
non aveva protettori politici, ideologici, corporativi. Faceva parte
di quella categoria di persone con una esistenza normale, serena,
senza scandali, una famiglia unita, tradizionale, una fede cristiana
sentita e praticata apertamente. E, purtroppo, questi valori, per il
nostro mondo pubblico attuale, sono un handicap insuperabile.
Ma il cantante calabrese non se ne è mai lamentato. E alla fine,
quando la malattia lo attanagliava lasciandogli poche prospettive,
era sereno. Al giornalista di “Petrus” ha potuto confidare: <<Offro
ogni sofferenza a Gesù e alla Madonna e ringrazio Dio per il dono
della mia Famiglia>>.
Sulla famiglia ha aggiunto: <<Uno dei doni più belli che la vita mi
ha dato è stato proprio quello della famiglia: una moglie splendida
e due figlie che mi sono sempre vicine e non mi lasciano mai.
Cos’altro avrei potuto pretendere di più?>>.
Ha avuto, però, anche parole che si riferivano alle delusioni
patite: <<Perdono tutti. Non voglio lasciare nulla in sospeso con
alcuno. Il cristianesimo è saper dimenticare, lasciarsi alle spalle
rancori e risentimenti, abbandonarsi liberamente alla misericordia.
Senza perdono la nostra fede sarebbe vuota. Io stesso chiedo perdono
nel caso abbia danneggiato qualcuno, anche se, mi creda, nel limite
delle mie possibilità, ho sempre cercato di aiutare e comprendere
tutti. Se non ci sono riuscito, spero davvero vogliano scusarmi>>.
Dichiarazioni veramente straordinarie che dimostrano che Reitano è
stato sì un grande cantante, ma è stato soprattutto una brava,
onesta persona, e la canzone più bella del suo repertorio è stata
la sua vita.
Qualcuno potrebbe pensare che Mino Reitano abbia riscoperto questi
valori spirituali di fronte alla malattia. Errato. Reitano li ha
sempre vissuti questi valori. La fede cristiana era un patrimonio
che aveva ricevuto da bambino e che, crescendo, aveva assimilato e
arricchito. Il suo concetto di famiglia era certamente frutto
dell’educazione familiare, della cultura che si era dato, ma
soprattutto conseguenza logica della sua fede cristiana. E’ vissuto
in serena fedeltà a questi suoi principi, senza sbandierarli,
senza ostentarli. Ma chiunque, avvicinandolo, ne sentiva la presenza
vitale.
Li
scoprii anch’io quando, per ragioni di lavoro, conobbi Reitano,
all’inizio degli Anni Settanta. Era già famoso. Anzi, all’apice
della sua popolarità. Con il denaro guadagnato, aveva comperato un
appezzamento di terra ad Agrate, periferia di Milano, inizio della
verde Brianza e lì aveva, in poco tempo, riunificato la famiglia:
aveva costruito villette per il padre, i fratelli, i cugini. Una
festosa comunità, alla quale aveva voluto dare il nome del paese
calabro dove era nato: “Villaggio Fiumara”. C’era anche un campo di
calcio e alla domenica arrivavano da Milano altri amici cantanti,
tra essi Celentano, e giocavano, mentre il padre di Mino faceva il
pane nel forno a legna.
Mino, allora, era continuamente sui giornali, dove gli venivano
attribuiti flirt, fidanzate, matrimoni imminenti. Ma, entrando
nella sua famiglia, si capiva subito che cose del genere non avevano
niente a che fare con la vita reale del cantante. E tutti si
meravigliarono quando, nel 1977, improvvisamente Reitano stesso
annunciò in televisione, durante una puntata della trasmissione di
Mike Bongiorno, “Scommettiamo”, che era fidanzato e si sarebbe
sposato dopo un paio di settimane. Giornali, settimanali,
giornalisti, fotografi: tutti presi in contropiede. E non si
trattava di un fidanzamento improvviso, nato da poco, frutto di un
colpo di fulmine. No. Mino e la ragazza che stava per sposare si
conoscevano da 10 anni, e nessuna notizia era mai trapelata, neppure
in quegli ultimi mesi quando i due si frequentavano con assiduità
proprio perché stavano organizzando le loro nozze.
Stupito al pari di tutti gli altri miei colleghi giornalisti, chiesi
a Reitano come fosse riuscito a tenere segreto un fidanzamento. E mi
rispose: <<Non dimenticare che sono calabrese. Sulle cose importanti
noi calabresi non ammettiamo indiscrezioni. Con le altre ragazze
lasciavo correre voci e notizie, mi lasciavo fotografare perché
erano situazioni che non sarebbero mai approdate a conclusioni
concrete. Qui era diverso. Era una cosa seria, e non ne ha saputo
niente nessuno, tranne, naturalmente, le nostre famiglie>>.
Qualche
giorno dopo mi fece conoscere la sua fidanzata, Patrizia. Una
maestrina che aveva, allora, 25 anni e lavorava in una biblioteca a
Bologna. Timida, riservatissima, credo non avesse mai parlato con un
giornalista. Era quella la sua prima intervista. Mi trovai di fronte
una ragazza straordinaria, che mi colpì molto. Anche lei, come Mino,
aveva una chiara, forte fede cristiana nel cuore. Non sbandierata,
non proclamata, ma vissuta. Io credevo di conoscere bene Mino, ma,
parlando con Patrizia capii che, in realtà, lo conoscevo solo
superficialmente. Conoscevo il cantante popolare, simpatico,
estroverso, che era disponibile per interviste, foto, che sorrideva
sempre su tutto. Ma non conoscevo la persona.
Dopo la scomparsa di Mino, sono andato a rileggermi le cose che
Patrizia mi disse in quella intervista. Parole alle quali forse
allora non diedi tutta l’importanza che contenevano. Ma che ora, a
distanza di 32 anni, fanno capire come Mino e Patrizia guardassero
alla vita che insieme stavano per iniziare con una serietà e una
fede cristiana veramente sorprendente in persone tanto giovani.
Patrizia mi raccontò che quando aveva conosciuto Mino, lei aveva 14
anni e mino 22. Mino non aveva ancora raggiunto il grande successo,
che sarebbe arrivato l’anno successivo. Tra loro nacque un
sentimento profondo e sincero. Ma il turbinio di impegni seguito al
successo li divise. Mino era sempre in giro per il mondo. E lei,
timida studentessa, pensava di essere stata dimenticata. Invece non
fu così. Mino non l’aveva dimenticata e quando si riincontrarono,
tutto riprese dal punto in cui la storia si era interrotta.
Patrizia,
riferendomi di come era avvenuto il loro incontro decisivo, mi
disse: <<Il nostro amore si era chiarito in quella zona bellissima
delle Marche che si stende dalla basilica di Loreto alla cattedrale
di San Ciriaco in Ancona. Sono convinta che quei due luoghi hanno
avuto una grande importanza nel nostro destino. La prima volta che
io e Mino abbiamo parlato apertamente dei nostri sentimenti
eravamo in un luogo dominato dall'alto dalla basilica di Loreto.
Poiché la nostra conversazione era molto importante e avrebbe
impegnato la nostra vita futura, io pensavo continuamente alla
Madonna e sono certa che ci ha illuminato. Nei giorni seguenti mi
sono spostata ad Ancona. Erano i giorni in cui riflettevamo per
prendere le decisioni definitive, e io sono andata molte volte
nella cattedrale di San Ciriaco, a parlare dei miei problemi. Ecco
perché ricordo con affetto quei due luoghi>>.
Patrizia e Mino hanno costruito la loro famiglia su convinzioni
semplici e antiche, illuminate dalla loro fede. Sono vissuti insieme
32 anni. Ci saranno certamente stati anche per loro problemi e
difficoltà. Come per tutti. Ma hanno sempre tenuto vivi i contatti
con quelle persone “invisibili ma reali”, alle quali si erano
rivolte per avere consigli e aiuto al momento di decidere della loro
vita insieme. E il cantante, facendo un bilancio della sua
esistenza prima di andarsene per sempre da questo mondo, ha potuto
dire al giornalista che lo intervistava: <<Uno dei doni più belli
che la vita mi ha dato è stato proprio quello della famiglia: una
moglie splendida e due figlie che mi sono sempre vicine e non mi
lasciano mai>>. La famiglia, la canzone più bella che ha scritto.
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