ANCHE LA MAMMA DEL PAPA COME GIANNA BERETTA by Renzo Allegri Tutte le persone che in qualche modo vengono a conoscenza della vita di Gianna Beretta Molla, ne restano affascinate. Non solo per la sua morte eroica, ma per la rettitudine e la limpidezza morale con cui è sempre vissuta. E’ passata in questo mondo, vivendo come una persona qualunque, ma nobilitando con la sua bontà ogni cosa. Era santa nell’animo, e santificava tutto quello che faceva. Di lei hanno scritto o detto cose meravigliose Paolo VI, che era arcivescovo di Milano quando Gianna morì nel 1962, e gli altri cardinali che gli succedettero nella diocesi lombarda: Carlo Colombo, Carlo Maria Martini, Dionigi Tettamanzi. E innumerevoli vescovi.
Molti si sono chiesti come mai Giovanni Paolo II avesse tanta ammirazione per Gianna Beretta. Una così viva ammirazione l’aveva dimostrata per Madre Tersa e per Padre Pio, due santi che aveva conosciuto personalmente. Ma di Gianna Beretta aveva sentito parlare solo da Papa. La ragione vera andrebbe ricercata, secondo amici polacchi del Papa, nella sua stessa famiglia. Come Gianna Beretta, anche la mamma di Karol Wojtyla sacrificò eroicamente la propria vita per non abortire, per mettere al mondo il figlio che attendeva. Ed era lui, Karol, che sarebbe diventato Giovanni Paolo II. E’ un particolare della vita di Giovanni Paolo II che pochi conoscono. Ma è autentico. E’ poco noto solo perché Wojtyla è sempre stato riservatissimo sulla propria famiglia. I dati storici, tuttavia, sono palesi. Ho ricostruito questo fatti, con le testimonianze disponibili, nel mio libro “I misteri di Karol Wojtyla” e voglio qui riassumerli brevemente.
Nel 1914 Emilia rimase di nuovo incinta. La gravidanza questa volta fu ancora più difficile, il parto complicato e nacque una bambina che visse poco tempo. Non si sa quanto. Forse poche ore o pochi giorni. Non ci sono notizie precise di questa bimba. Nei registri parrocchiali non si trovano documenti che la ricordino. Non è stata registrata nel libro dei battesimi. Probabilmente venne battezzata in privato, a casa, dagli stessi genitori, come è previsto anche dalla Chiesa nei casi di emergenza, cioè quando il neonato è in pericolo di vita. Non si sa neppure dove sia stata sepolta, perché neppure nei registri del cimitero si trovano indicazioni di quella bimba. Si sa che era stata chiamata Olga. Emilia aveva voluto dare alla sua bambina quel nome che le ricordava la sorella maggiore, che aveva tanto amato e che era morta a soli 22 anni. La morte della piccola Olga segnò profondamente il cuore di Emilia, ma anche la sua salute. Da allora, Emilia cominciò ad andare soggetta a fortissimi mal di schiena che le impedivano perfino di reggersi in piedi. Inoltre, veniva presa da improvvisi capogiri che le facevano perdere conoscenza. Quando arrivavano quelle crisi, doveva restare a letto anche per quattro, cinque giorni di fila. E a volte doveva essere trasportata a Cracovia, per essere assistita da specialisti. I medici dicevano che aveva i reni compromessi e il cuore malandato. Doveva condurre un’esistenza tranquilla, serena, non doveva affaticarsi e, naturalmente, neppure lontanamente pensare ad altre maternità.
Il problema era certamente grave. Emilia conosceva bene le proprie condizioni di salute. Avrà di sicuro riflettuto sulle parole dei medici. Sapeva il rischio cui andava incontro e avrà pensato a suo marito, a suo figlio Edmund che aveva allora 14 anni, e anche a se stessa. Non è facile accettare la morte a 35 anni. Ma Emilia era una donna di grande fede. Neppure per un attimo prese in considerazione la prospettiva dell’aborto. Si affidò al buon Dio. Mai, per nessuna ragione al mondo, avrebbe impedito a quel suo bambino di venire al mondo: per lui, era disposta a morire. I nove mesi di gestazione furono pieni di complicazioni per la salute di Emilia. Il parto si presentò difficile, ma il bambino nacque sano e robusto. Era il 18 maggio 1920. Quella maternità fu fatale per Emilia. Ella visse ancora nove anni, ma in condizioni di grande sofferenza. Lo ha testimoniato la sua vicina di casa, Maria Janina Kaczorowa. <<Abitavamo nella stessa via>>, raccontò dopo che Karol Wojtyla era diventato Papa. <<Emilia era molto malata ma sopportava il dolore con fede. A Wadowice la gente diceva che soffriva di una malattia alla spina dorsale oppure di cuore. Ma lei non parlava mai dei suoi disturbi e riusciva sempre a tenere un sorriso dolce e sereno sulle labbra, anche nei momenti di maggior sofferenza. Ricordo quando la portarono in ospedale. Aveva le gambe che non la reggevano più e la schiena dolorante. E morì subito>>. La terribile disgrazia si verificò il 13 aprile 1929. Quella mattina, il piccolo Karol, che non aveva ancora nove anni, si alzò presto come al solito per andare a scuola. La mamma, sofferente, volle preparargli la colazione e poi lo baciò e abbracciò. Probabilmente sentiva che non lo avrebbe più visto vivo.
Fuori dalla scuola c’era una signora, vicina di casa, che lo attendeva. <<La tua mamma è stata portata all’ospedale, ma, purtroppo, è morta>>, disse la donna. Il ragazzo le si mise accanto camminando in silenzio e con lei tornò a casa. Emilia aveva quarantacinque anni e il certificato di morte parla di miocardite e nefrite, cioè infiammazione al cuore e ai reni. I funerali vennero celebrati il 16 aprile. Non si è mai saputo quale dolore abbia provato il piccolo Karol. Deve essere stato tremendo, tale da provocare un profondo choc che cancellò in lui ogni ricordo della madre.
Tutti gli amici di Karol Wojtyla sono concordi nel dire che egli rimase sconvolto dalla perdita della madre al punto di non riuscire quasi mai a parlare di lei. Solo una volta, al giornalista francese André Frossard, suo amico, confidò: <<La morte di mia madre è sempre profondamente scolpita nella mia mente>>. Si dice cha Wojtyla abbia sempre portato con sé alcuni oggetti che erano appartenuti a sua madre: un tavolino e la cesta di vimini che Emilia usava per raccogliere la biancheria. E che su un tavolo, nella sua camera da letto, sia in Vaticano come a Castelgandolfo, abbia una piccola fotografia dove la madre è accanto al papà, fotografia scattata pochi giorni dopo il loro matrimonio. Nel 1939, quando erano passati dieci anni dalla morte della madre, egli, ormai grande e già affermato poeta, scrisse alcuni versi in ricordo di sua madre. Versi che sono una dolce preghiera, ma intrisa di un incancellabile dolore: Sulla tua tomba bianca Fioriscono bianchi fiori della vita. Oh, quanti anni sono stati senza di te, Quanti anni fa? Sulla tua tomba bianca Da tanti anni già chiusa: Come se in alto qualcosa si innalzasse, Come la morte incomprensibile. Sulla tua tomba bianca, O madre, mio spento amore, Con tanto affetto filiale Faccio preghiera: Dio, donale eterno riposo. |